Nello sport come nella vita ci sono rare occasioni in cui ti rendi conto che ciò che stai vivendo o a cui stai assistendo è qualcosa di unico, epico, irripetibile; qualcosa che, anche dopo tanti anni, rimane lì, nascosto nei meandri della memoria, certamente celato dalla quotidianità, dal tempo, di cui nell’immediato restano di ogni scena solo alcuni scatti, lampi, momenti, ma che, se riportato alla luce, pian piano riemerge e, da ombra indistinta, si illumina a causa del profondo significato che ha avuto per te.
Se ripenso a ciò che mi ha fatto veramente amare il ciclismo, ad esempio, il ricordo vola alla indimenticabile tappa del Giro d’Italia con arrivo all’Aprica del 1994, quella dello Stelvio e del Mortirolo, dell’eroico Franco Vona (sono passati vent’anni ma lo vedo ancora scollinare per primo lo Stelvio innevato), ma soprattutto quella che consacrò un giovane campione e che fece innamorare milioni di tifosi su per il ripidissimo Mortirolo: lo sfortunato e grandissimo Marco Pantani.
Questo flusso di coscienza serve solo a rendere l’idea di ciò che per me significa la forza di un ricordo legato ad un evento sportivo che mi ha colpito profondamente. Oggi infatti non voglio parlarvi di questa impresa, bensì di un’altra, altrettanto epica poiché egualmente inaspettata: la semifinale dell’Australian Open di tennis del 2005 tra Marat Safin e Roger Federer.
Stiamo parlando di due talenti assoluti, con due caratteri diametralmente opposti sia dentro che fuori dal campo: la classe cristallina e la costanza di risultati di Federer contro il genio e l’incostanza di Safin. Tanto per dare un’idea Federer verrà in seguito chiamato il “Re“, e nel 2005 il suo regno di monarca assoluto del tennis mondiale ha già un anno di vita, terminando solo tre anni e mezzo dopo quell’incontro – numero 1 del ranking mondiale per 237 settimane consecutive. Federer viene da un 2004 strepitoso, anno che lo ha visto trionfare in ben 3 slam su 4. E’ il grande favorito alla vittoria finale, gli avversari di turno sembrano solo dei comprimari destinati già in partenza ad una amara sorte dinnanzi al miglior tennista del decennio e forse della storia. Ma quel giorno l’avversario del Re è uno dei più talentuosi e altalenanti tennisti di sempre: Marat Safin. Safin è stato numero 1 del mondo, ma parliamo del 2000, anno che lo ha visto esplodere con la vittoria agli Us Open su un altro mostro sacro del tennis mondiale, Pete Sampras. Una volta raggiunto un simile traguardo ti aspetteresti altre vittorie importanti, anche perchè dalla sua Marat ha la forza fisica e la classe, un diritto micidiale e un rovescio a due mani potente e preciso, insomma non gli mancherebbe nulla per dominare la cresta dell’onda ancora per un bel pezzo, se non un aspetto fondamentale e non trascurabile: il carattere. Scostante dentro e fuori dal campo, intellettuale ma al tempo stesso rissoso, amante delle donne e della bella vita (si potrebbero citare molti aneddoti riguardanti la sua vita privata o elencare le spesso diverse ma sicuramente sempre avvenenti “abitanti” del suo box a bordo campo), il gigante russo non riuscirà mai nel corso della sua carriera a esprimere con interezza il suo enorme potenziale, se non in rare occasioni dove darà vita a un tennis sublime fatto di classe e potenza. Quale occasione migliore allora se non la semifinale contro il numero 1 del mondo che l’anno prima, sempre a Melbourne lo aveva schiantato in 3 set?
Marat deve aver capito fin da subito che quella sarebbe stata la sua ultima grande occasione per cercare di risalire la china e tornare nell’Olimpo del tennis. Inutile dire a chi andassero i favori del pronostico e a chi invece il mio tifo.
E’ una mattina di gennaio, accendo la tv e mi sintonizzo su Eurosport (ah, i bei tempi dell’università!). Safin inizia concentrato ribattendo colpo su colpo ma il primo set se lo aggiudica Federer 7-5. Tutto come da copione ahimè, penso dentro di me, e a quel punto mi sembra di rivivere la finale dell’anno precedente: tre set a zero per il Re e via. Invece, nonostante quell’incedere dinoccolato e ciondolante tipico di Marat e quell’auto-analisi rivolta alla racchetta su ogni errore non forzato, di colpo esce fuori il Safin che non ti aspetti che con potenza e determinazione trionfa 6-4 nella seconda frazione: oggi si può vincere sul serio, ragiono tra me e me e inevitabilmente mi scappa un “c’mon Marat”. Il pubblico lo applaude, la maggioranza del tifo sugli spalti è dalla sua parte ma nel terzo set la luce si spegne per il mio beniamino, andando subito sullo 0-3,riportandosi con la forza della disperazione nuovamente sul 4-3 ma cedendo nel finale 7-5. Il quarto set dovrebbe servire solo a decretare la superiorità di Federer, instradandolo verso la finale e un probabile nuovo successo in terra australiana ma al contrario il set è equilibrato e tesissimo, combattuto punto su punto, tanto da arrivare al tie-break dove Marat dà una grande prova di tenuta mentale e vince con il parziale di 8-6. Il quinto set parte benissimo per il russo che si porta sul 5-2 ma qui qualcosa si inceppa, i suoi demoni tornano a tormentarlo e il rischio di buttare al vento una delle partite migliori della carriera è concreto. Re Roger riesce infatti ad annullare 3 match point e si porta sul 5 pari; ma oggi il destino di Marat non è segnato, non sarà l’ennesima occasione buttata al vento, il Re dev’essere spodestato, almeno dal trono d’Australia. Gli ultimi punti vengono giocati su ritmi incredibili, il pubblico va in visibilio, capisce che la storia del tennis sta compiendosi sotto i suoi occhi. Si assiste a scambi memorabili dove si alternano e compenetrano spesso potenza, velocità, precisione, e sono già più di 4 ore di gioco! Alla fine Marat si aggiudicherà questa sfida interminabile chiudendo il quinto set per 9-7. Di li a due giorni si aggiudicherà lo slam battendo in finale in 4 set il beniamino di casa Lleyton Hewitt.
Dopo l’exploit di Melbourne Safin non giocherà più su questi livelli, collezionando più delusioni che gioie ma per chi ama il tennis una partita come la semifinale dell’ Australian Open del 2005 è La partita, un ricordo indelebile che ti fa capire come lo sport esattamente come la vita, viva di momenti di assoluta grazia capaci di regalare gioie immense.
“Sono quello che sono, non posso fare altrimenti e forse non potrei vincere se tenessi tutto dentro di me”.
Marat Safin.
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Maria
Bravo Matte, molto poetico! W Marat Safin!