Lungo la colonna vertebrale ci sono due file di neuroni che costituiscono il sistema nervoso simpatico. Per “riflesso” è lì che l’adrenalina si irradia in una sorta di reazione detta fight or flight, combatti o fuggi. L’adrenalina si “innesca” per una combinazione tra il sistema nervoso centrale e quello endocrino.
Immaginate quattro inglesi di diversa estrazione, ovvero Harry e Charlie Collier (piloti), il presidente dell’Auto-Cycle Club Freddie Straight e il marchese di Mouzilly St.Mars. Immaginateli in treno, di ritorno da una gara motociclistica tenutasi in Austria, intenti a parlare animatamente dell’eventuale organizzazione di un simile evento nella terra natìa. Corre – mai verbo fu più azzeccato – il gennaio del 1907 quando decidono di creare l’evento che sarebbe entrato di diritto nella storia delle corse a bordo di motociclette. Il 28 maggio 1907 si tiene la prima edizione del TT, acronimo di Tourist Trophy, una gara su strade pubbliche chiuse al traffico nella bellissima cornice dell’Isle Of Man, tra case tipicamente britanniche, marciapiedi, dislivelli mozzafiato, distese di verde a picco sul mare e ogni possibile insidia mortale a chi decida di percorrerla a oltre 300 km/h. Sono le 37,73 miglia più pericolose che un centauro possa decidere di affrontare. Il concetto di follia motoristica è cambiato, si è evoluto ed ha raggiunto l’apice in quelle che che sono le road races, spericolate corse contro il tempo nei tragitti cittadini di tutto il mondo. La gara ha due categorie: la Senior TT e la Junior TT, è così praticamente da sempre e l’ingresso in una o nell’altra categoria viene regolamentato in base alla cilindrata della motocicletta e al numero di cilindri di cui dispone. Correre qui è un qualcosa che stravolge la passione stessa per il mondo delle corse. Travalica anche l’adrenalina, torce le budella degli spettatori in un fiocco di visceralità ed estasi.
Il TT divide parte dell’opinione pubblica e i piloti: per i primi (anche tra gli addetti ai lavori) l’assurdità della corsa è rappresentata dalla sicurezza, per i secondi la dicotomia è tra coloro che corrono in pista e chi invece nelle road races. Ogni edizione, per chi ne è fuori, assume l’aspetto di una lucida roulette russa intrapresa dai partecipanti, in cerca non di semplici brividi ma dell’alfa e dell’omega delle due ruote.
Joey Dunlop ha sfidato l’isola e trionfato per 26 volte in carriera, consacrandosi come il più vittorioso di sempre nella storia della competizione, seguito da John McGuinness con 20 e da Mike Hailwood con 14. Il primo italiano a cercare di tenere testa a questi cavalli pazzi è stato il nostro “Ago”, Giacomo Agostini, che con 10 vittorie complessive rientra nella top ten.
Quando si avvicinano i giorni di gara l’isola si trasforma per essere sempre come in passato. Nulla è cambiato se non i mezzi che la solcano come aratri di vetroresina spinti da una mandria di cavalli. Bisogna approcciarsi al TT non tanto come ad una gara tra piloti quanto ad una competizione tra questi ultimi e l’inesorabile ticchettio del cronometro, esattamente come vollero i suoi ideatori. La gara fu portata a termine anche nel 1914 con la vittoria nella Senior class di Cyril Pullin, il precursore ideologico del motore rotativo che tanta fortuna avrà con gli elicotteri (e in misura minore con le automobili). Lo scoppio della Grande Guerra interruppe lo svolgersi delle edizioni successive. Con il 1920 iniziarono diversi lavori di spostamento del percorso di gara modificando taluni passaggi. Con cadenza costante si cercarono di migliorare sempre di più le condizioni del manto stradale anche se l’inevitabile evoluzione di motociclette e prestazioni non fece altro che innalzare l’asticella dei caduti. Nel 2013 si calcola che i morti sul tracciato sfiorino una cifra poco distante dai 150. Non c’è spazio per il minimo errore e chiunque affronti il TT lo sa. Sono poco meno di 210 curve, di cui circa una sessantina portano i nomi di chi non ha terminato le 37,73 miglia dell’isola. Il britannico Guy Martin ha risposto così ad una domanda postagli nel 2011 da un giornalista di motoblog sul tempo impiegato per essere veloce e costante: «[…]purtroppo ancora non ho vinto all’isola di Man, perché nulla è come il TT e nulla ti dà tanto a livello emotivo, è come una droga, e uno degli aspetti principali è proprio il rischio così alto, la continua possibilità di farsi male dà a tutto un sapore diverso. Io amo il rischio, mi piace ed è quello che nella mia mente mi dà il massimo piacere e anche il massimo della partecipazione emotiva. E il mio obbiettivo principale oggi è vincere l’isola!».
L’isola come avversaria, alleata del cronometro.
Tra pochi giorni inizierà una nuova edizione del TT e il portabandiera tricolore sarà il pluricampione del campionato italiano velocità in salita Stefano Bonetti, che nel 2013 non era riuscito a partecipare poiché senza una moto (e sponsor), mentre nel 2012 era rimasto coinvolto in un terribile incidente a 160 km\h nel Gp di Macao, uscendone fortunatamente vivo ma con qualche osso rotto. Sarà Stefano a cercar di tenere testa agli scatenatissimi McGuinness, Dunlop, Martin & Co. grazie ad una collaborazione tra diversi sponsor che potranno così fornire 2 Kawasaki di differenti cilindrate al campione italiano, supportato dal proprio team Speed Motor, composto per lo più da grandi amici oltre che da esperti tecnici. L’unica assurdità è che un pilota come Bonetti non abbia alle spalle un team ufficiale e quasi fatichi a trovare sponsor per partecipare.
In questa gara contano la passione, il polso destro e la dolcezza, perchè senza quella si rischia di non arrivare in fondo. Questa è l’adrenalina allo stadio più evoluto, quasi a trasformarsi in ossigeno per permettere a chi indossa il casco di respirare. Qui si trova lo spirito ancestrale delle corse e di coloro che hanno un cuore prima che l’obiettivo di vincere una competizione. A vedere e sentire le interviste dei piloti non si direbbe che stiano per affrontare una corsa che in potenza potrebbe essere l’ultima. Ho guardato e riguardato i video in cui Bonetti spiega cm per cm il tracciato del TT e la cosa più sorprendente è la sensazione di tranquillità che ti infonde la sua voce, totalmente in antitesi con le immagini che scorrono sullo schermo.
Il giornalista Mario Donnini, nel suo volume “Tourist Trophy, la corsa proibita” fornisce una meravigliosa istantanea del TT: «Ci si innamora e insieme ci si spaventa di questa gara antica, di questa follia regolamentata. Non è solo la corsa in sè e i suoi personaggi leggendari, anzi mitologigici, ma anche l’ atmosfera che per due settimane pervade questo scoglio in mezzo al mare, situato al largo della Gran bretagna. La “Disneyland per bambini cattivi”, dove chi va per correre (ed anche per guardare) “non è normale”. Contagioso. Da sognare e non mettere in pratica (anzi, si)».
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