Ma siamo sicuri che in Champions League ci siano proprio tutte le squadre e tutti i campioni a rappresentare ogni paese? La risposta è no. No, perché l’ultima vera Coppa dei Campioni risale, anche nominalmente, all’edizione 1991-1992. Nell’anno successivo, stessa coppa ma con nome diverso: UEFA Champions League e formula del torneo modificata. Formula che è poi cambiata nel corso degli anni per garantire sempre maggiore “appeal” e introiti a favore dei team partecipanti, in accordo con gli sponsor che fanno la voce grossa: Unicredit, Mastercard, Gazprom. Ma forse è meglio soprassedere e parlare solo di calcio giocato e raccontare l’ultima Coppa dei Campioni edizione 1991-1992.
Il primo turno, così come il secondo, sono a doppia sfida andata/ritorno, che meraviglia il calcio semplice degli anni ‘90: ci sono squadre come l’Etar, campione di Bulgaria; l’Hansa Rostock, ultima squadra della Germania Est a prendere parte a tale competizione; il RFCU Luxembourg che rimedia un doppio 5 a 0 dall’Olympique Marsiglia; stessa sorte tocca al Hamrun Spartans contro il Benfica. Tra le altre squadre “pittoresche” troviamo il Portadown, il Dundalk, l’Honved, il Flamurtari e l’HJK del divino Jari Litmanen. Nell’Honved gioca Vincze, che poi sarà presenza ectoplasmatica a Lecce. Tra le squadre più blasonate ci sono: il Benfica di Sven Goran Eriksson, che vanta in rosa giocatori del calibro di Thern, Kulkov, Yuran e Rui Aguas; l’Olympique Marsiglia con Olmeta, Amoros, Angloma, Boli, Deschamps, Sauzee, Waddle e Papin, un’autentica corazzata, forse la squadra da battere; l’Arsenal di Seaman, Adams, Dixon, Winterburn, Limpard, Merson e Alan Smith che ha la maglia più bella del torneo; l’Anderlecht di Lulù Oliveira, Degryse e Nilis; la Dinamo Kiev di Salenko; i Glasgow Rangers di Hateley e McCoist; il Barcellona fortissimo costruito da Cruyff con Koeman, Nadal, Guardiola, Stoitchkov; la Stella Rossa Belgrado, campione in carica, squadra straordinaria con Ivic, Belodedici, Mihajlovic, Jugovic, Pancev e Ratkovic. Insomma un bel tuffo tra squadre e calciatori che portano con sé una sfumatura inevitabile di romanticismo. La Sampdoria, dei gemelli del gol Vialli e Mancini, invece, rappresenta l’Italia.
La cosa straordinaria della vecchia Coppa dei Campioni è che a parteciparvi erano realmente i campioni dei singoli campionati. Nessun turno preliminare, nessuna preclusione verso nessuno: insomma una Coppa molto più democratica e meno “controllata” dove anche il Portadown FC sarebbe potuto arrivare alla vittoria finale. Quest’anno ad esempio l’Arsenal, arrivato quarto in campionato nella stagione scorsa, ha affrontato i preliminari e poi è stato inserito in prima fascia, mentre il Liverpool, arrivato secondo in campionato, è stato relegato in terza fascia. Questioni di ranking, di calcoli impossibili che solo Blatter e i suoi fidi scagnozzi capiscono e promuovono, di spettacolo e spinta degli sponsor. Si narra anche che il tutto venga fatto per alzare il livello medio della manifestazione: sarà anche così, ma a me non dispiaceva l’edizione ad eliminazione diretta. Primo e secondo turno secchi, poi 2 gironcini. Solo le vincenti dei gironi erano meritevoli di giocare la finale. Oggi, immaginatevi se il Real Madrid, il Bayern Monaco o il Barcellona uscissero al primo turno? Sarebbe anche possibile in una sfida secca andata/ritorno. Il girone invece ti permette maggiore possibilità di errore, quindi anche una tendenza ad un impoverimento del tasso tecnico delle partite. Una volta invece, se sbagliavi la partita in casa, eri praticamente fuori ed eri quindi costretto a giocare sempre al meglio e con la migliore formazione. Cosa che, ad esempio, successe negli ottavi all’Olympique Marsiglia che vince 3 a 2 in casa (risultato risicato), ma perde 2 a 1 a Praga contro lo Sparta.
La composizione dei 2 gironi dopo i due turni ad eliminazione diretta è la seguente: Sampdoria, Stella Rossa, Anderlecht e Panathinaikos nel Girone A (girone di ferro); Barcellona, Sparta Praga, Benfica e Dinamo Kiev nel Girone B. Le vincenti si sarebbero sfidate a Wembley, emblema di un calcio romantico e storico, stadio demolito e ricostruito nuovo, simbolo di un calcio che ci sapeva ancora far emozionare con la sua semplicità e la sua naturalezza, meno freddo e spettacolare rispetto a quello moderno, ma più elegante e sobrio. L’epilogo di quella Coppa dei Campioni lo conoscono tutti, in particolare a Genova: punizione di Koeman e gol vincente per l’1 a 0 finale del Barcellona che vince così la sua prima e ultima Coppa dei Campioni. Quella sera piansi lacrime di dolore e rabbia: lo so è stupido piangere per una partita di calcio, ma andatelo a dire ad un tifoso, un tifoso vero, e vedrete che cosa vi risponderà. Io posso solo rispondervi che quel calcio genuino, sobrio, senza nomi sulle maglie, senza calcoli e turnover mi faceva battere il cuore e piangere; questo mi fa scaldare, agitare lievemente ma nulla più. Forse è questione di età, o forse di un’altra coppa e di altri campioni.
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