Il calcio, come scriveva Nick Hornby in “Febbre a 90”, è il passatempo preferito dalla classe lavoratrice inglese, la cosiddetta working class. Era il 1992. In Italia, in quegli anni, iniziavo anche io ad andare allo stadio con papà. Era tutto molto semplice e quindi bello: viaggio, botteghino, acquisto del biglietto e partita.
I tempi sono cambiati, molto, e quel 1992 sembra lontano e irraggiungibile, purtroppo. Da buoni genovesi (non siamo tirchi e avari, siamo parsimoniosi, che è diverso) abbiamo pensato fosse interessante andare ad analizzare i prezzi dei biglietti delle partite dell’attuale Serie A, facendo alcune precisazioni. Innanzi tutto ho volutamente tralasciato i prezzi degli abbonamenti, con annesse tessere del tifoso nominali, concentrandomi esclusivamente sui biglietti. Anche il biglietto della gara deve riportare il nome e la data di nascita dell’utilizzatore. Non voglio esprimere la mia opinione al riguardo perché un articolo non basterebbe. La seconda precisazione è la seguente: il cambio di valuta, che ha modificato drasticamente il potere d’acquisto degli italiani, ha pesato enormemente anche sui prezzi dei biglietti dello stadio. In terza analisi vanno prese in considerazione anche le strutture nei quali si assiste alle partite: stadi fatiscenti e vecchi, molti risalgono al restyling di Italia ’90, mal serviti da mezzi pubblici e con parcheggi inadeguati, seggiolini sporchi. L’ultima precisazione, e forse la più curiosa, è che molte società hanno introdotto una doppia tariffa: ci sono tariffe per le partite di Fascia A (partite contro le “big” e i derby) e tariffe per partite di Fascia B (quelle tra le cosidette “provinciali”). Tale meccanismo, a mio parere, è assolutamente ingiusto e poco democratico. Le società si muovono seguendo i dettami dei numeri inflessibili rigurgitati dalle statistiche e dal marketing, cercando di monetizzare al massimo dalla vendita dei ticket. Ma per il tifoso, quello vero, giocare con il Cesena (rispetto parlando) o con la Juventus, non fa alcuna differenza: lui allo stadio ci andrà lo stesso e risulterà penalizzato nel prezzo in occasione dei big match. Alcune grandi società hanno fissato i prezzi dei biglietti annuali, cosa assolutamente corretta, e hanno strutture molto più ricettive delle nostre: sto parlando ad esempio del Bayern Monaco, del Borussia Dortmund e del Manchester United. Se per vedere i Red Devils come minimo servono 31 sterline in un settore “popolare”, ne occorrono 30 per entrare al Signal Iduna Park e 25 per vedere i bavaresi. Il Real Madrid ha biglietti a partire da 30 €, il Barcellona (più cari) a partire da 49 €. Stiamo parlando comunque di squadre di primissimo livello e di impianti storici. In Italia, l’unica squadra con lo stadio nuovo di proprietà, la Juventus, ha messo a 25 € i biglietti per le curve. Un prezzo onesto se paragonato a struttura/ricettività. E le altre?
Ho analizzato i seguenti dati per singola squadra: prezzo minore, prezzo medio e prezzo maggiore conseguendone una media, a mio avviso, abbastanza attendibile. Il costo medio di un biglietto in Serie A in un settore popolare, curva o gradinata, si attesta sui 22,30 € equivalente a circa 43 mila lire: un tempo si poteva entrare allo stadio anche con solo una banconota blu con Alessandro Volta da un lato, e il Tempio Voltiano dall’altro (senza documento e comprando il biglietto il giorno stesso della partita). Le squadre che hanno i prezzi più bassi (stando alle ultime informazioni internet) sono Fiorentina, Napoli e Palermo con rispettivamente 10 € per entrare al Franchi e 14 € per il San Paolo e il Barbera. L’Empoli invece ha deciso di mettere a 35 € i settori “popolari”, ma si trattava dei prezzi per la partita con il Milan, squadra considerata di Fascia A, come detto in precedenza.
Per assistere ad una gara nel settore “distinti”, paradiso degli anziani polemici, dei non più giovani, delle famiglie(ma le famiglie vanno ancora allo stadio?) e di chi vuol vedere seduto la gara, si spendono in media 49,95 €. Cifra che sale a 118,45 € medi, se si assiste alla partita nel settore più costoso, la tribuna: stiamo parlando di cifre assolutamente disincentivanti, almeno per la working class. Sicuramente più alla portata della business class e della borghesia. Perché, parliamoci chiaro, al netto di tutte le considerazioni economiche, sociali, calciofile, il mondo-calcio si è imborghesito. Facciamo un esempio pratico: papà e mamma decidono di portare il figlio di 10 anni a vedere la sua prima partita allo stadio: meraviglioso, semplicemente meraviglioso. A Genova, andando nei distinti, la famigliola spenderebbe 130 € in caso di partita con squadra di Fascia A, e 80 € in caso di partita con squadra di Fascia B. Ma quella stessa famiglia con 80/130 € quanti giorni può mangiare? Quante spese necessarie può fare? Molte, moltissime. Ecco che lo stadio non è più un luogo di ritrovo per la working class come negli anni ’90, ma per la borghesia (?) e per chi si può permettere di affrontare tali spese.
In conclusione i prezzi medi dei biglietti, in rapporto alla qualità dello spettacolo, al servizio offerto dagli stadi in termini di ricettività e comodità e al fatto che andare allo stadio è una spesa non primaria, sono alti. Se teniamo conto, inoltre, che acquistare un biglietto spesso comporta code e obbligo di presentare documenti (non si possono acquistare biglietti per amici se non si ha il loro documento come si faceva una volta) credo che sia lecito essere demotivati e disincentivati ad andare allo stadio la domenica. Magari alle 12 e 30. Molto probabilmente le società stesse hanno capito che si guadagna maggiormente dai proventi delle pay-tv e preferiscono avere sempre maggiori spettatori davanti alla tv piuttosto che in curva. Se il prezzo da pagare è questo, tutto rientra nella logica commerciale e di merchandising, fredda e razionale, così lontana e distante dalla passione, dall’irrazionalità, dall’incazzatura e dalla gioia che un tifoso può provare unicamente allo stadio, magari a prezzi popolari, come un tempo.
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