Alle 20.30 di lunedì 12 gennaio in tanti stanno guardando la tv. Anche in Gran Bretagna. A quell’ora passa Coronation Street, il nostro Un posto al sole, per capirci. Tutto normale, il solito impasto di corna, tradimenti, rivelazioni e passioni destinate a tramontare. Ma non è di questo che parleremo.
Durante la pubblicità va in onda This girl can, letteralmente Questa ragazza può, uno spot che ha per protagoniste decine di donne. Meglio, decine di corpi di donna. Giovani o maturi. Di etnie differenti. Formosi, ossuti, più o meno tonici. Pieni di difetti, normali. Tutti alle prese con attività diversissime, dal calcio al kickboxing. Per un minuto e mezzo, ci perdiamo fra corpi e capelli sudati, gambe e busti che “sballonzolano”, volti contratti dalla fatica e dall’agonismo. A dare ritmo all’intero racconto ci pensa Get Ur Freak On di Missy Elliott, mentre in sovrimpressione si leggono messaggi come “Mi muovo dunque sono” oppure “Sudo come un maiale, ma mi sento una volpe”.
Il video è stato commissionato da Sport England, l’ente che gestisce fondi e attività legate al benessere e alla forma fisica per conto del ministero della cultura britannico. Come si legge sul sito di SE, This girl can vuole «spronare le donne ad essere più attive». Banale (e un po’ colpevolizzante)? Detto così, può sembrarlo. Ma basta aggiungere un tassello al puzzle per far cambiare del tutto prospettiva. La campagna, si legge ancora sul sito di Sport England, è una risposta allo «studio che mostra come milioni di donne siano spaventate dall’idea di praticare sport per paura di un giudizio negativo».
«Vogliamo raccontare la storia vera di donne che fanno sport» ha detto Jenny Price, CEO (donna) di Sport England spiegando che esiste ancora «un gender gap» fra uomini e donne che praticano sport in Gran Bretagna. Si stima che nella fascia d’età che va dai 14 ai 40 anni gli uomini che corrono, giocano a rugby o calcio o vanno in palestra siano circa 2 milioni in più rispetto all’altra metà del cielo. Tanti, troppi, considerato che le donne costituiscono la maggioranza della popolazione.
A tenere lontane tante ragazze, ma anche le loro madri e nonne, dagli impianti sportivi sarebbe la paura di non essere abbastanza atletiche, forti, competitive, resistenti. Peggio, il dubbio di essere ridicole. «Ogni donna con cui ho parlato di questa campagna - conclude Price – ha messo in luce la paura di non essere sufficientemente brava e la sensazione di essere l’unica a vivere questo disagio». Tutto normale, il solito impasto di paure, ansie, frustrazioni e ambizioni destinate a tramontare. Ma neanche di questo parleremo (almeno adesso).
Stando ai numeri, ad una settimana dal lancio This girl can ha colpito nel segno. Pubblicato su YouTube il 12 gennaio, ha già ottenuto oltre un milione e settecentomila visualizzazioni e l’omonimo hashtag (#Thisgirlcan) è subito schizzato nei trend topics di Twitter. Realizzato dall’agenzia londinese FCB Inferno, lo spot è l’apripista di una campagna che si arricchirà di altri video, simili a quelli dedicati finora a Grace, Kelly, Victoria e Julie, mamme e lavoratrici, tutte atlete per divertimento.
Ma, a ben guardare, This girl can non ha mancato di suscitare commenti tutt’altro che positivi. Venerdì 16 gennaio su The Guardian, è uscito un articolo intitolato The This Girl Can campaign is all about sex, not sport ovvero La campagna This Girl Can parla di sesso, non di sport. A firmare l’articolo sono Jessica Francombe-Webb e Simone Fullagar, esperte di Physical Culture Studies che, pur riconoscendo allo spot una carattere di novità nel ritrarre «veri corpi di donne di taglie e forme diverse», non nascondono pesanti perplessità.
«Perché la campagna mina la sua capacità di incoraggiamento usando per donne di tutte le età il termine “ragazze”? – scrivono Francombe-Webb e Fullagar – Il corpo femminile in ambito sportivo ha subito una lunga storia di infantilizzazione, e come ha detto la filosofa americana Marion Young , “colpire come una ragazza” (Ndr ci si riferisce al baseball) è un insulto comune che esclude le donne dal sentirsi forti, capaci e rispettate».
Ma l’accusa più forte dell’articolo pubblicato dal Guardian è quella che vuole This Girl Can pensato per un’audience maschile, dunque in netto contrasto con gli obiettivi per cui lo spot è nato. «Pare che questi corpi – scrivono le autrici – siano solo un’altra forma di oggettivazione in una cultura già satura di immagini sessualizzate. Le clip riproducono i consueti format dei video musicali nei quali atletici corpi femminili si esibiscono a favore di un pubblico maschile».
E poi la chiusa: «Sarebbe forse chiedere troppo vedere una campagna che mostri lo sport come un’opportunità di trovare un spazio attivo fuori dall’adorazione del corpo e della sua ostentazione».
Sono tante le domande lasciate aperte da This Girl Can. A noi ne ronza in testa una più di ogni altra: come e perché un (possibile) giudizio negativo sulle proprie performance sportive frena così tante donne, ma non gli uomini? E in che modo gli uomini guardano all’intero dibattito? Li riguarda? A fornirci un indizio ci pensa un commento postato da TheCloackedGamer: «Mi piace l’idea del video. Lo apprezzo. Ma mi pare buffo che non ci sia niente di simile per i maschi. Insomma, anche noi abbiamo bisogno di incoraggiamento qualche volta».
Lorenza Delucchi
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