Lo stadio di Champion Hill (3000 posti), situato a sud di Londra nel quartiere di Southwark, è il campo di casa del Fisher F.C, del Millwall (squadra femminile) e del Dulwich Hamlet, squadra che milita nell’Isthmian League e apertamente impegnata nella lotta contro l’omofobia.
In una fredda sera di febbraio, l’Hamlet ha affrontato in amichevole lo Stonewall FC, prima squadra gay della Gran Bretagna, fondata nel 1991 da Aslie Pitter, e attuale detentrice del Gay Football World Champions. L’innovativa amichevole, inedita nel resto del paese, rappresenta senza dubbio la più chiara presa di posizione di un club britannico nella lotta contro l’omofobia, e rappresenta al meglio l’idea che tifosi e giocatori possano coesistere, dentro e fuori dal campo, indipendentemente dall’orientamento sessuale. La partita, i cui incassi sono stati devoluti alla Elton John Aids Foundation, è però solo l’ultimo evento in ordine cronologico del percorso che vede impegnato il club di Champion Hill nella lotta alla discriminazione, un impegno che si protrae da inizio stagione e che non ha eguali nel resto del Regno Unito.
Tutto ha avuto inizio a settembre 2014, quando Mishi Morath, sostenitore e membro del comitato permanente del club, ha chiesto il sostegno di Gavin Rose, manager del Dulwich, e dei giocatori in rosa. Da quel momento l’Hamlet è diventato uno dei primi club non-league (termine con cui si intende il calcio giocato nelle serie sotto la Premier League e le tre divisioni di Football League) a sostenere l’Arcobaleno Laces Day e a portare i lacci nel pareggio di FA Cup contro il Worthing.
L’impegno civile è diventato così un tratto distintivo del club e anche i tifosi hanno abbracciato l’avvicinamento alla causa. Il Dulwich Hamlet, però, resta un episodio unico. Nessun’altro club, infatti, con risorse ben superiori ad una realtà che gioca tre divisioni sotto la League Two, ha emulato la squadra londinese. Nonostante nel 2013 molti giocatori professionisti abbiano abbracciato l’iniziativa dei lacci arcobaleno, pochi passi in avanti da allora sono stati fatti per contrastare l’omofobia. La maggior parte delle squadre di Premier resta passiva, in attesa che il cambiamento si attui da solo, in modo spontaneo.
In Inghilterra, come in Italia del resto, il calcio professionistico a livello di club resta refrattario all’impegno. Molte squadre, a parole, si dichiarano contro l’omofobia. Ma restano parole. Urgono fatti, prese di posizione: chiare, definite e ben riconoscoscibili. Come quella del Dulwich Hamlet.
E se a giocare quell’amichevole ci fossero Juventus o Chelsea, il messaggio risulterebbe ancora più efficace.
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