Una spallata decisiva alla dittatura che teneva in pugno il Brasile dal 1964 arrivò da una squadra di futbol, il Corinthians, e dal movimento nato al suo interno, la Democracia Corinthiana. Quel Corinthians ha consegnato alla storia, e probabilmente non solo a quella del calcio, un certo Socrates, O Doutor: laurea in medicina, nome da filosofo, calciatore straordinario e persona non da meno. In quella squadra, però, c’era anche un altro giocatore che, va chiarito subito, non aveva la stessa classe del Magrao, ma una storia altrettanto intrigante da raccontare: Walter Casagrande Junior.
Casao, questo il suo soprannome, era il simbolo della libertà, alto e massiccio e con un bel colpo di testa. Anche se il pezzo forte era la sponda per i compagni. Cresciuto nel “Timao”, vinse gli storici campionati paulisti del 1982 e del 1983 assieme a Socrates, quelli con la scritta Democracia Corinthiana sulle spalle. E con il direttore Adilson Monteiro Alves, Wladimir e il Doutor, era l’anima del movimento.
I giocatori conquistarono la direzione del Corinthians, una delle squadre più potenti del Brasile, e mantennero il potere tra il 1982 e il 1983. Cosa insolita, mai vista prima, i giocatori prendevano tutte le decisioni insieme, a maggioranza. Democraticamente, discutevano e votavano il metodo di lavoro, il sistema di gioco, la distribuzione del denaro e tutto il resto – E. Galeano
Nella vittoria del 1982 fu il capocannoniere della squadra, collezionando 28 centri e un arresto per possesso di cocaina. Probabilmente fu incastrato, dato che la Democracia non piaceva al regime. Ma quello con la “dama bianca” non si rivelerà un incontro occasionale. Nonostante i successi, quelli al Corinthians non furono anni facili. La Democracia non piaceva soprattutto a quelli che sedevano nei posti che contano e anche all’interno della squadra la convivenza non sempre fu facile. Come quella volta in cui il portiere Leào rimproverò la difesa di non averlo protetto abbastanza, ma contro cui Casao si ribellò: «qui al Corinthians non si da la colpa a nessuno!».
E poi c’era Socrates. “E’ lui che illumina il mio calcio”, dichiarerà Casagrande. E quando il dottore non era in campo, Casao si immalinconiva. Bastava una partita saltata per infortunio per incupirsi. Agli incontri con la cocaina, nel frattempo, aggiungerà anche l’uso di marijuana e qualche bicchiere di troppo. Passerà così ai rivali del Sao Paulo, per ritornare di nuovo al “Timao” e prendere poi definitifvamente il volo per l’Europa. Destinazione Porto.
La stagione 1986/1987 fu quella del trionfo in Coppa dei Campioni, ma nella finale contro il Bayern Monaco fu spettatore non pagante. Tanti infortuni e poco campo. Passerà all’Ascoli del presidentissimo Costantino Rozzi e nelle Marche, a quasi trent’anni di distanza, ancora oggi lo amano. E lui ama loro: «Mi piacerebbe tornare e incontrare i vecchi amici, i miei vecchi compagni, vedere i posti che frequentavo, e poi mi mancano un sacco le olive».
Resterà quattro anni, i primi tre in serie A (dove non segnò moltissimo) e poi la retrocessione nel 1990. Il presidente Rozzi, come suo costume, fu chiaro: «Non posso tenerti in serie B con questo ingaggio». Casagrande non si scompose e rinnovò il suo impegno con i bianconeri: «Presidente non preoccuparti, troveremo un accordo: andrò via solo dopo aver riportato il Picchio in A». Il risultato? Eccolo, ancora tramite le parole del Casao: «facemmo un contratto a obiettivi, una novità assoluta per l’epoca: se avessi superato le 30 presenze, i 20 gol e se fossimo tornati in A. Feci 33 presenze, 22 gol e venimmo promossi».
Passerà al Torino per 5 miliardi delle vecchie lire e divenne protagonista della storica finale di Coppa Uefa contro i lancieri dell’Ajax. Segnò una doppietta nel 2 a 2 dell’andata, ma non fu sufficiente per portare il trofeo sotto la Mole: il pareggio a reti bianche del ritorno premiò gli olandesi. L’anno successivo tornerà in Brasile, lasciando l’Europa dopo sette anni. Nella valigia del rientro porterà esperienza, un po’ di goal e purtroppo anche il doping: «ci obbligavano a fare delle iniezioni intramuscolari: l’effetto era sbalorditivo, ma dopo un po’ decisi di smettere».
Dopo gli ultimi anni in giro per il Brasile si ritirerà, sprofondando nell’oblio e nei vizi: «mi sentivo tremendamente solo e cercavo rifugio nella droga. Mi sono fatto di tutto. Cocaina, eroina, canne, tequila, doping: per 20 anni ho giocato alla roulette russa». Oggi commenta fùtbol per la tv brasiliana, si è liberato dei suoi vizi, o meglio, dei suoi demoni, come li chiama nella propria autobiografia. Gli piacerebbe tornare ad Ascoli, tra la gente che lo ama, per gustarsi ancora qualche oliva.
Assieme a Socrates, Casao è stato l’anima della Democracia Corinthiana.
E non poteva essere una persona banale.
Lettura consigliata:
Casagrande e seus demonios, di Casagrande e Gilvan Ribeiro (GloboLivros)
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