Questa è la storia di Zdenek Stybar, ciclista ceco che poco più di un mese fa ha tagliato per primo il traguardo di Siena della Strade Bianche e che domenica scorsa ha chiuso al secondo posto la Parigi – Roubaix. Più precisamente, quelli che seguono sono attimi immaginati, tra Siena e Roubaix: il fascino del ciclismo quando l’asfalto lascia spazio all’accidentato, allo sterrato, alla polvere che s’impasta col sudore.
Si è ritrovato a sognare di nuovo, Zdenek Stybar. Vittima di uno degli scherzi mentali che più impressionano l’essere umano. Un deja vu. Un deja vu di vento e polvere. Bandiere con un leone che ruggisce, sbranate dalle violente folate d’aria che soffiavano in direzione contraria alla sua. Strada sterrata, arricchita da collane di pietre, che sembrano essere infinite, quando sei tu a doverle affrontare in bicicletta.
Aveva ottimi ricordi, custoditi in quella polvere. Quella di domenica, parlava una lingua diversa, rispetto a quella con cui aveva avuto il piacere di dialogare qualche tempo fa, lungo il percorso verso Siena. Verso quella piazza tanto grande quanto magica. Piazza del Campo non è certo un velodromo. Certo, l’arrivo non è in salita, a Roubaix. Anzi, è tutta dritta, fino al suono della campana. Ma la’anima rimbalza, insieme alla catena. Su e giù. Come le palpebre, che cercano di pulire gli occhi da quei granelli tanto piccoli quanto fastidiosi. E se provi a pulirli con le mani, peggiori solo le cose. A Roubaix ci arriverai piangendo. Forse per il male. Forse per la polvere.
Zdenek, a Siena, piangeva. Piangeva lacrime di polvere e gioia. Per essere arrivato primo. Per aver stappato lo spumante. Era dolce, leggermente frizzante sulla pelle e in gola. Piccole gocce ambrate avevano cercato di far breccia in quella maschera di stanchezza creata dalle strade bianche. E’ stato bello, vederlo così.
Zdenek, a Roubaix, piangeva. Piangeva lacrime di polvere e amarezza. Con le braccia che ancora subivano scosse elettriche dall’interno, abituate ormai alle sollecitazioni del pavé. Piangeva lacrime silenzione, colme di delusione. Scivolavano lente sulle guance, invisibili al resto del mondo. Ma lui le aveva ben presenti. Due righe bianche, su un volto marrone. Un marrone che ricorda la terra, quella selvatica, indomabile. Terra complessa da capire. Terra isterica, quella piena di roccia.
E quel deja vu di vento e polvere gli è rimasto impresso nelle vene. Sembrava tutto come quella volta. I profumi, la grinta, il mal di gambe. Forse quello, era leggermente inferiore. Ma c’era. E avrebbe tanto voluto che quel dolore, tramutasse in bellezza. Purtroppo no. Purtroppo, quella bellezza, è andata nelle mani di un altro. La guardava, quella pietra, mentre veniva accarezzata da mani che non erano sue, baciata da labbra non sue. Avrebbe voluto gridare. Invece no, si è limitato a quel pianto silenzioso. Zdenek, non piangere. Sarà per la prossima volta. Ci sarà un prossimo deja vu. Un deja vu di vento e polvere.
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