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La coppa del Qatar

I Mondiali del 2022 se li è aggiudicati non senza polemiche il Qatar. Passando dalle accuse di corruzione, alle centinaia di operai morti nei cantieri in cui si lavora in condizioni inumane, fino all’inedito cambio di stagione (come prevedibile l’estate nel deserto risulta un po’ troppo calda), nei sette anni che ci separano dall’evento non si escludono altri e nuovi colpi di scena.

Tra la sabbia del piccolo stato mediorientale, oltre a faraoniche costruzioni, stanno sorgendo ininterrottamente anche numerosi campi da calcio e stadi avveniristici. Il campionato di calcio qatariota è sostanzialmente una sfarzosa pensione dorata, dove vecchi campioni vengono aiutati a suon di petrol-dollari a somatizzare l’idea di un declino più fisico che tecnico. Negli anni hanno deliziato gli esigenti occhi degli emiri Pep Guardiola, Gabriel Batistuta, i fratelli De Boer e Marcel Desailly, giusto per citare i più famosi. Per il resto solo onesti giocatori, per lo più brasiliani, convinti da guadagni altrimenti impossibili; per quanto riguarda i giocatori locali, una schiera di volenterosi ed improbabili pedatori più adatti ad una partitella del venerdì sera scapoli vs ammogliati, piuttosto che ad un campionato che ha la pretesa di definirsi professionistico. In Qatar non esiste un movimento calcistico, ed è un bel problema visto che la nazionale qatariota ai Mondiali del 2022 parteciperà di diritto e ovviamente vorrebbe anche ben figurare.

Attraverso la Qatar Investment Authority, la famiglia reale Al Thani muove i suoi investimenti: grattacieli, abbigliamento, automobili e ovviamente anche il calcio. Grazie a loro, i tifosi del Paris Saint-Germain oggi possono stropicciarsi gli occhi davanti alla pulizia degli interventi di Thiago Silva e allo strapotere fisico di Zlatan Ibrahimovic (strappati alla concorrenza con milioni e milioni di euro). Sempre attraverso la Qatar Investment Authority, nata a Doha, la Aspire Sports Accademy ha come obiettivo quello di creare una selezione in grado di rappresentare degnamente la nazionale ai mondiali casalinghi. Insomma, una struttura polifunzionale per i campioni del futuro: laboratori futuristici e immensi spazi per lo sport sono lo sfavillante biglietto da visita di questo centro. Il progetto è ambizioso e, parallelamente al programma sportivo, si sviluppa anche un programma di studio ed educazione per i ragazzi.
Tutto molto bello. Forse.

Il progetto in realtà era nato in vista dei Mondiali 2018, che il Qatar e la famiglia reale si aspettavano di ospitare dando già il via alla costruzione di nuovi stadi e nuove città. La sola Doha non bastava, c’era bisogno di un’altra sede ospitante e per questo è nata Lusail City. Ma tutto è slittato a quattro anni dopo. Come già detto, il calcio in Qatar non è propriamente lo sport di riferimento: le magie di Messi e Cristiano Ronaldo arrivano anche in questa piccola penisola affacciata sul Golfo Persico, ma di ragazzini vogliosi e capaci di imitarne le gesta sui campetti di periferia non ce ne sono poi tanti.

Nessun problema. I giocatori del futuro si vanno a prendere a casa loro. Direttamente dove nascono. E possibilmente se ancora molto giovani. Dal 2004 e per i cinque anni seguenti, dall’Accademia sono passati 400mila ragazzini, provenienti dagli angoli più poveri del pianeta dove però il calcio è una religione. Una sistemazione alla famiglia, un lavoro ai genitori e la fuga dalla miseria. In cambio la promessa di prendere la cittadinanza qatariota: questo il tacito accordo.

Ufficialmente non si vuol sentir parlare di una tratta di ragazzini camuffata, ma nessuno nega che il Qatar punti a trarne un vantaggio: «Non facciamo alcun tipo di pressione, tuttavia ci farebbe piacere se questi ragazzi un giorno scegliessero la cittadinanza del Qatar», ha ammesso il tedesco Andreas Bleicherdirettore dell’Accademy.

Dei 400mila ragazzini, i tecnici del Aspire ne hanno selezionati 24, provenienti da Africa e Sud America. E chissà che tra loro non si trovi una futura stella della Champions League, magari nata in qualche barrio di Buenos Aires, in una favelas di Rio o in un polveroso sobborgo di Lagos, ma rigorosamente con passaporto del Qatar. Ai massimi livelli di Fifa e UEFA il progetto, almeno inizialmente, non è piaciuto granché, e le critiche nemmeno troppo velate non sono mancate.

Ma l’interrogativo più significativo l’ha posto l’ex-selezionatore francese Lemerre: per un ragazzino che ce la fa, che ne è degli altri 20mila?

Per  approfondire

Il ricco emirato a caccia di talenti dei paesi più poveri su LaStampa.it

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Piergiorgio Pace
Cresciuto a Genoa e olandesi su campetti di cemento, amo le storie di pallone che vivono soprattutto fuori dal campo, su Around the Football provo a raccontarle
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