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Sputa, sgrana, scatta…

Avevamo lasciato Chris Froome giusto un annetto fa, solitario e dolorante mentre abbandonava il Tour de France con le ossa rotte.
Lo ritroviamo in Maglia Gialla, autore di una tanto meritata quanto criticata rivincita contro avversari e sfortuna: tutti messi nel sacco. La Grande Boucle non si lascia domare da chi non è all’altezza, Chris ha meritato pienamente la vittoria e di questo è stato scritto in abbondanza. Personalmente, chiudo questo tour con tre episodi che voglio approfondire.

Gli Sputi
Perché alcuni tifosi hanno sputato ed addirittura lanciato un gavettone di pipì a Froome? Difficile argomentare razionalmente la stupidità, ma qualche fattore scatenante lo possiamo trovare: in primo luogo l’immensità del Tour de France che, inferiore per popolarità solo a Olimpiadi e Mondiali di Calcio, attira una enorme quantità di pubblico generalista e con essa (seguendo la legge dei grandi numeri) una maggiore densità di cretini rispetto a corse come la Tirreno-Adriatico, seguite più che altro da pubblico appassionato, praticante e competente che mai si sognerebbe di oltraggiare il leader della corsa.
Un’altra bella fetta di responsabilità se la prendono i media, che sfruttando la portata mediatica del Tour de France e l’appeal sui cretini di cui sopra non vede l’ora di creare scandalo, risonanza e profitto: quale migliore argomento del doping per vendere qualche copia in più? E poco importa se poi sputano sulla Maglia Gialla. Anzi meglio, altre pagine da riempire. Tanto non è francese e nonostante tutto questo fomentar di folle, oltre qualche pugno a Bartali, uno a Merckx e qualche altro sputo a Cavendish, in fondo, altro non è mai successo.
Chris Froome è il secchione della bici, uno con enormi qualità fisiche ed una abnegazione ancora più grande: merita tutto quello che ha ottenuto. Purtroppo però la simpatia non la si può allenare, anche perché al grande pubblico fa spesso più impressione chi perde.
Infatti Sagan e Nibali hanno fatto il pieno di applausi.

Triste immagine del decelebrato con la polo bianca ed il berrettino da pescatore mentre sputa a Froome

Triste immagine degli sputi a Froome

I grani del rosario
Peter Sagan oltre ad una bici leggerissima, una squadra fortissima, uno stipendio da sogno, un fisico bestiale ed una simpatia dirompente ha anche una fidanzata bellissima. Si chiama Katarina Smolkova ed è slovacca come lui, ha un curriculum professionale interessante (lavora/ha lavorato con profitto nel settore degli alimenti biologici-dietetici) ed ha partecipato a Miss Slovacchia entrando nelle dodici finaliste.
Sagan per il quarto anno consecutivo ha vinto la maglia verde che premia il corridore più costante nei piazzamenti al Tour de France, pur non imponendosi nemmeno in una tappa (guadagnandosi quindi la simpatia incondizionata dei francesi): discesista inimitabile, inseguendo il successo nella frazione di Gap ha sovvertito le leggi della fisica nella discesa finale, guidando la sua Specialized come una Motogp. Non ha vinto ma ha guadagnato quasi un minuto sugli avversari in pochi km di discesa: in una curva affrontata ad 80 km/h è arrivato lungo ed una volta giunto al limite in cui la bicicletta sarebbe scivolata via a qualunque altro ciclista, lui l’ha strattonata verso destra inclinandola ancora di più e facendola schizzare a velocità folle verso la salvezza (e la curva successiva). Katarina lo aspettava all’arrivo, con il pass al collo ed un rosario di legno fra le mani. La sua bellezza e la sua intelligenza si facevano piccole piccole, schiacciate dalla paura per il suo Peter: nonostante un lungo abbraccio dopo il traguardo, Katarina ha continuato a tremare come una foglia stringendo il suo rosario.

Peter e Katarina dopo la tappa con il rosario in mano

Peter e Katarina dopo la tappa con il rosario in mano

Gli scatti (anzi, lo scatto)
Il rosario della signora Sagan forse avrebbe dato una mano anche a Vincenzo Nibali, a cui in questa edizione del Tour non ne è andata una giusta: stato di forma non perfetto come l’anno scorso, tanta pressione e qualche lacuna della squadra hanno fatto sì che il siciliano abbia sofferto la corsa e gli avversari fin dalla seconda tappa, accusando piccoli e continui ritardi e finendo pure a terra durante la volata di Le Havre. Vincere il Tour per due volte non è per niente facile e Nibali ha un po’ ripercorso quanto accaduto a Froome nel 2014 quando era lui il vincitore uscente.
L’orgoglio ed il talento di Vincenzo però hanno avuto ragione ed alla fine ha concluso la corsa al quarto posto riportando una bella vittoria a La Toussuire, attaccando tutto solo quando mancavano 59 km alla conclusione e firmando una vera impresa da manuale del ciclismo. L’attacco di Nibali ha però generato un gran numero di polemiche: è scattato mentre Froome era alle prese con un problema meccanico. Si fa, non si fa? Il giudizio sta alla visione che ognuno di noi ha dello sport, tuttavia c’è un piccolo particolare da svelare: Froome ha dichiarato che l’attacco del siciliano è avvenuto mentre lui si fermava a sistemare un problema alla ruota. In realtà il britannico ha avuto la sensazione che la sua ruota non girasse alla perfezione, andando con un rapido gesto della mano sinistra a sistemare il freno posteriore per sincerarsi che questo non creasse attrito: è una sensazione che tutti i ciclisti hanno provato, per poi accorgersi che la ruota funziona benissimo e purtroppo sono le gambe a non girare abbastanza. Consapevole di questo, Nibali ha sferrato il suo attacco, mentre l’avversario si lasciava sfilare per controllare meglio la bici mettendo pure un piede a terra. Non ne è uscito un grande gesto di fair play, ma di sicuro il campione italiano ha dimostrato di avere una grande attenzione ai dettagli: se anche Quintana lo avesse seguito, forse racconteremmo un altra storia.

Il fotogramma "incriminato" in cui Froome prova a regolare il freno posteriore

Il fotogramma “incriminato” in cui Froome prova a regolare il freno posteriore sotto lo sguardo attento di Nibali

 

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Davide Podesta
Nell’agosto 1997 ho acceso la tv ed invece dei cartoni ho trovato la Classica di San Sebastian. Da quel giorno è stato solo ciclismo, pedalato, gareggiato e raccontato ma soprattutto vissuto. Per me non è metafora di vita, è l’essenza: un amore incondizionato e puro, critico e consapevole ma neppur minimamente deteriorabile. Se leggo la Gazzetta in un bar lascio aperta la pagina del ciclismo affinché qualcuno la legga, se la discussione finisce sull’argomento state certi che metterò il cuore sul tavolo. Trasgredisco solo per le Olimpiadi, sia estive che invernali e detesto ogni critica che non sia costruttiva, soprattutto quelle di chi non accetta il passare degli anni. Suoi e degli altri.
Davide Podesta

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