“Il pugno è un’espressione squisitamente fascista”, diceva il duce. Nella costruzione di un’immagine atletica e virile, per Mussolini la boxe occupava un posto privilegiato. Basta guardare i 60 colossi che circondano lo stadio dei marmi del Foro Mussolini (l’attuale Foro Italico), rispecchiamento del corpo del duce e degli sportivi italiani: ben 10 ritraggono pugilatori.
Ad essere ritratto in infinite posture sportive, del resto, il duce non aveva mai rinunciato. Il primo sportivo d’Italia, l’ideale dell’atletismo: il corpo come portatore di un progetto politico, sempre seminudo e gagliardo, busto scoperto impegnato nella trebbiatura, a picconare un muro, sulle piste innevate del Terminillo. L’esposizione del torace (pancia in dentro e petto in fuori!), anche in occasioni istituzionali, come quando nell’estate del ’33 non esita a ricevere in costume da bagno, sulle spiagge di Ostia, il cancelliere austriaco Engelbert Dolfuss.
Il corpo, dunque. Meglio se fuori dal comune e di razza italica. Un nome tra tutti: Primo Carnera, il primo pugile italiano a diventare campione del mondo, il 29 giugno del 1933. Un gigante di oltre due metri, 126 chili e 52 di piede. Un’onda d’urto a spazzar via lo stereotipo dell’italiano debole, malaticcio e straccione delle visite militari dei coscritti e dei controlli di Ellis Island. Arrivato giusto in tempo per dare una lezione alle “faccette nere” della guerra di Abissinia.
Grande e forte, dopo la quarta elementare fugge dalla miseria di Sequals, piccolo centro a 40 chilometri da Udine, per emigrare in Francia come uomo forzuto al seguito di un circo. E’ in questi anni che Paul Journée, ex campione francese dei pesi massimi lo nota e gli procura un manager, Léon See, che lo mette subito a dieta “prescrivendogli” una bistecca da un chilo tutti i giorni.
Nel 1930 il Madison Square Garden lo mette sotto contratto. Il gigante italiano sale sul ring con una frequenza incredibile e vince, seppur molti match, come disse anche il suo manager, sono combinati. Passano tre anni e il gigante italiano arriva a combattere per il titolo. Ci vogliono 6 round perché un montante destro metta KO il detentore Jack Sharkey. Due telegrammi annunciano il successo in Italia: il primo indirizzato alla madre, il secondo al duce.
La popolarità di Carnera è mondiale, nelle case e nelle botteghe di ogni immigrato italiano negli States, il ritratto del pugile campeggia accanto a quello di Mussolini. Arriva la gloria, il fascismo ha finalmente trovato il corpo virile e gagliardo in cui identificarsi.
Tre mesi dopo rientra in Italia per combattere contro il basco Paulino Uzcudun, campione europeo dei pesi massimi che nessuno è mai riuscito a mandare al tappeto. L’evento è grandioso, una settimana dopo ci sarebbero state le celebrazioni per la marcia su Roma. Per l’occasione il ring viene allestito a piazza di Siena, nell’anfiteatro dei concorsi equestri all’interno di villa Borghese, una capacità di 70.000 persone. Il protagonista è ovviamente “Lui”, Mussolini, che si presenta all’incontro con i figli maschi Bruno, Vittorio e Romano, al loro apprendistato virile. Carnera sale sul ring senza l’usuale sgargiante accappatoio, nascondendo il possente torace in una severa camicia nera e salutando romanamente. Carnera vince, mantiene il titolo, ma vince male: ai punti.
Non manterrà la cintura a lungo. Nel ’34 incontra l’americano Max Baer, che con Carnera ha recitato e combattuto nel film L’idolo delle donne. Non c’è storia: a Long Island Carnera va al tappeto 11 volte e rimedia caviglia lussata, naso fratturato, due costole incrinate e un occhio semichiuso.
Il suo riscatto non è da meglio. Per alcuni giornali è diventato La torre di gorgonzola. Combatte con Joe Luis, più giovane, più grezzo, mai perdente in carriera. Carnera va giù tre volte. Alla sesta Luis vince per KO tecnico.
La razza italica è a terra: un Paese sconfitto, abbattuto, svergognato. Carnera torna in Italia senza una lira, derubato dai manager. Riprova con l’America, ma come pugile, niente: è un perdente. Si dà al catch, quello che piace ai bambini. E poi si esibisce, contro canguri, nani, freaks. E gli va bene, fa i soldi e si stabilisce in America. Tornerà poi a morire a casa, nel ’67, di cirrosi epatica e diabete.
Era triste, Carnera, scrisse Norman Mailer, costretto, da gigante forzuto, a nascondere nel suo corpaccione la sua debolezza anche dopo le sconfitte.
Anche il fascismo tenne celati particolari scomodi della sua caduta e di chi lo sconfisse: Max Baer era ebreo, Joe Luis nero proveniente dalle piantagioni di cotone dell’Alabama. Il Foro Mussolini era già stato completato, le aspirazioni imperiali alle porte, non si poteva tornare indietro.
Bibliografia
Marchesini, Daniele. “Come in Uno Specchio. Il Corpo Di Carnera E Di Mussolini.” La Ricerca Folklorica, no. 60 (2009): 25-28.
Audisio, Emanuela. “Quando crollò il colosso d’argilla.” La Repubblica, 5 giugno 2005.
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