➤ Fratelli
Presnja, quartiere operaio di Mosca. Gennaio 1917.
– Non mi importa che dice nostro padre. O lo zio Dmitrij. Loro sono cacciatori, che pensino a cacciare: lo sport non è una stramberia. Da grande io voglio correre, giocare a hockey e a calcio.
– Anche io – disse Aleksandr.
– Pure io – seguì a ruota Andrej, il più piccolo dei tre.
– Ma cosa volete saperne voi due – rispose Nikolaj. – Avreste dovuto rimanere a casa con la mamma, Petr e le nostre sorelle. Altro che stenka na stenku sulla Moscova: quelli di Dorogomilov mica scherzano.
– Non è vero! Siamo grandi… – risposero in coro i 2 fratelli minori.
– Ma se avete 14 e 11 anni!
– E tu, Nikolaj, ne hai solo 15. Sei più grande di me solo di 1 anno – ribattè Aleksandr.
– Lasciamo stare. È meglio. Ripassiamo le regole. Forza, qual’è la prima?
– Affrontare l’avversario sempre 1 contro 1.
– Bravi. E la seconda?
– Colpire solo con le mani e mai sotto la cintura.
– Ottimo. E ora l’ultima, la più importante…
– Mai accanirsi sull’avversario a terra. E mai inseguirlo se scappa.
– Bene – rispose soddisfatto Nikolaj. – Mettete berretto e guanti per i colpi. Si va al fiume.
➤ La nascita
Mosca. Casa di Nikolaj Starostin. Aprile 1935.
– No, Aleksandr, no. Non possiamo chiamarla Assalto. Dobbiamo trovare un nome evocativo, capace di trascinare le folle e che allo stesso tempo ricordi alla gente che nel paese siamo l’unica squadra di calcio libera dalle forze armate.
– Che ne dici allora di Audacia? – fece Andrej.
– Ancora? Come ve lo devo dire: non saremo mai come la Dinamo o la CDKA. La Krasnaja Presnja l’abbiamo fondata noi, mica quei pinguini in uniforme!
– Vittoria? – provò Petr.
– Già meglio. Ma voglio pensarci su – rispose Nikolaj. – Dopo la Piščeviki e la Promkooperacija, abbiamo bisogno di qualcosa che faccia meno dopolavoro aziendale, un nome che racchiuda le qualità migliori di un atleta: coraggio, fermezza nella lotta, fedeltà ad un ideale, forza, abilità. Ma che al contempo sia rispettoso della nostra storia. Quindici anni fa siamo partiti dalla Presnja. Vi ricordate? – e alzandosi per rinvigorire la forza delle sue parole, proseguì: – eravamo un gruppo di appassionati di sport, che dal nulla e spontaneamente ha scelto di creare una polisportiva. La gente oggi ci segue per questo. E credo che il nome della futura società lo debba in qualche modo ricordare.
– Ma sui colori, almeno, siamo d’accordo. Vero? – chiese Aleksandr.
– Sì – rispose Nikolaj. – Maglia rossa, con fascia trasversale bianca sul petto e sul dorso.
– Va bene – acconsentì Andrej. – Ma resta un problema: il nome?
– Non sei d’aiuto così – lo rimproverò Aleksandr. – Smettila di sfogliare quel dannato libro e aiutaci sul serio.
– D’accordo, ma cerca di calmarti: è solo lo Spartaco di Giovagnoli. L’avrò già letto 5 volte almeno.
– Aspetta, aspetta – urlò all’improvviso Nikolaj. – Ripeti quello hai appena detto!
– Ho detto che chiudo il libro, fratello. Ecco fatto. Ma ti prego: ora troviamo questo benedetto nome. È quasi l’alba.
– No, no – lo incalzò il maggiore – intendevo il titolo del libro.
– Stai bene?
– Sì! Per dio, ripeti il titolo di quel libro!
– Va bene, va bene – fece dubbioso il fratello minore. – È lo Spartaco di Raffaello Giovagnoli, un garibaldino italiano.
– Finalmente! Ci siamo! – gridò esultante Nikolaj. – Vi ricordate quando siamo andati in tournée in Germania?
– No – risposero in coro gli altri.
– Ma sì – prosegui il più grande degli Starostin – siamo stati ospiti degli atleti-lavoratori del club Spartak. Un nome breve, sonoro ma che lasciava traspirare uno spirito indomabile. Me lo ricordo ancora. Ecco come ci chiameremo! Useremo il nome di un rivoluzionario, di un atleta e del capo di un’epica rivolta di schiavi: Spartak!
➤ Il centrocampista pesante
Mosca. Centro sportivo di Tarasovka. 25 settembre 1939.
– Cosa vuol dire che dobbiamo giocare di nuovo la semifinale?
– Quello che ho detto, Andrej: dovremo riaffrontare la Dinamo Tblisi – rispose serio Nikolaj.
– Ma se abbiamo già vinto la finale! Non ha senso!
– Lo so, ma dicono che la palla non era entrata del tutto.
– Fottuto Berija, quello sbirro ci odia. Sono due anni che ci perseguita: prima con la storia dello scarso impegno nelle partite in Europa, poi con l’arresto di Aleksandr Kosarev e ora con questa stronzata.
– Non urlare: qualcuno potrebbe sentirti.
– Non importa, arrivati a questo punto tanto vale giocare a carte scoperte – rispose Andrej amareggiato. – Più vinciamo, più quel ciccione s’inalbera: mica è colpa nostra se la sua squadra di poliziotti non vale un fico secco.
– Lui è il Capo dei servizi di sicurezza, Andrej. È normale che aiuti la Dinamo.
– Ma non è normale che odi noi: tutta la gente ci ama.
– E invece sì. Ci ha preso di mira proprio per questo motivo. Le vittorie dello Spartak e il nostro seguito gli impediscono di mettersi in luce agli occhi di Stalin: i nostri trionfi offuscano il suo potere. Detesta a tal punto la sconfitta che i giocatori della Dinamo vengono minacciati sempre prima di ogni partita. Vuoi capirlo o no che il calcio c’entra molto poco! Tutto è politica qui: anche lo sport. Soprattutto lo sport.
– E ora che facciamo?
– Giochiamo a pallone – fece il maggiore degli Starostin. – Ma devo pensare. Quella foca permalosa non mi può vedere: vent’anni fa a Tblisi lo saltavo come un birillo a centrocampo. Ora è lui che vuole far saltare noi.
– Ho paura, Nikolaj. Non voglio andare in gattabuia.
– Neppure io.
➤ L’inquisitore
Mosca, via Bol’šaja Lubjanka. Agosto 1942.
– Sapete perchè vi trovate qui?
– No – rispose Nikolaj.
– Almeno ci avete pensato? – domandò lo sbirro.
– Certo, ma non ho trovato risposta. Forse c’è un malinteso.
– Nessuno finisce qui per sbaglio.
– Ma esistono le eccezioni.
– Per i nemici del popolo non esistono eccezioni, ma solo provvedimenti eccezionali. E se continuerete con questo atteggiamento poco collaborativo, esporrete a grossi rischi la vostra splendida famiglia.
– Non fate del male ai miei fratelli – rispose con un filo di voce Nikolaj.
– Troppo tardi, compagno Starostin. Se confesserete il vostro crimine, però, potrete alleviare le pene di Petr, Andrej e Aleksandr. E anche dormire un giorno intero.
– Cosa dovrei confessare?
– 1937, giornata della cultura fisica, mausoleo di Lenin. Abbiamo una confessione firmata dalla mano di Aleksandr Kosarev, il vostro amico dello Spartak. L’accusa è grave: attentato terroristico nei confronti dello Stato sovietico – urlò l’inquisitore gettando una fotografia tra le mani dell’accusato.
– Temo farete pochi goal con questo attacco, compagno commissario.
– Avete voglia di scherzare – incalzò l’inquisitore. – Trovate le accuse divertenti?
– No – rispose Nikolaj. – Però è come dicevo io: c’è un malinteso.
– Spiegatevi.
– Se osservate meglio la fotografia, io non ci sono sul carro. Pertanto ero impossibilitato a guidare il presunto attentato. Non solo – proseguì Nikolaj – i giocatori dello Spartak erano tutti in calzettoni e pantaloncini e nella nostra divisa non ci sono tasche per nascondere armi. Infine, se ben osservate l’immagine, mescolati tra di noi c’erano anche 2 due agenti dell’NKVD.
– Quindi non solo negate, ma rigettate le accuse, insinuando che lo Stato sia poco efficiente!
– No, dico solo che c’è stato un malinteso.
– E pensate ci sia stato un fraintendimento anche nel furto di un vagone pieno di stoffa, sparito proprio da un deposito appartenente allo Spartak?
– Non ne so nulla.
– Forse dovrei interrogare i vostri fratelli a riguardo?
– Confermeranno la mia versione.
– Bene, compagno Starostin. Per quanto continuerete con questa condotta poco collaborativa? Sapete che state facendo del male a voi stesso, vero? Non posso aiutarvi se proseguite su questa linea. Ma voglio offrirvi un’altra possibilità per trarvi d’impaccio: confermate che lo Spartak versi uno stipendio mensile di 80 rubli agli atleti di livello nazionale?
– Sì – rispose Nikolaj, comprendendo che una via di uscita alla situazione non esisteva.
– E sapete che questa è propaganda di sport borghese?
– Sì – confermò Starostin. – Ripiego sul male minore. E voi avrete la vostra confessione.
➤ Riunione di famiglia
Mosca. Casa di Nikolaj Starostin. Giugno 1953.
– A me è andata abbastanza bene – disse Andrej. – Ho scontato tutta la pena a Noril’sk. Là ho incontrato Pavel Tikston, il nostro vecchio compagno di squadra, e anche la moglie e la figlia di Aleksandr Kosarev.
– E te, Aleksandr? – domandò il maggiore degli Starostin al fratello visibilmente provato.
– Quando ci siamo incontrati a Perm ne venivo dal gulag di Inta. E poi – proseguì – non ho ascoltato il tuo consiglio, Nikolaj: ho scritto alla corte Suprema per richiedere la revisione del processo. Per ritorsione mi hanno spedito al disboscamento a Solikamsk, negli Urali. Ma non ho mai smesso…
– Di fare cosa? – domandò Andrej.
– Ho sempre continuato a chiedere la revisione del nostro processo. Ho scritto anche a Stalin in persona!
– Sei sempre stato cocciuto come un mulo, Aleksandr. Fin dai tempi in cui andavamo al fiume a suonarle a quelli di Dorogomilov – sorrise Nikolaj. – E te, Petr?
– Come prima destinazione sono stato assegnato anche io negli Urali – rispose il più piccolo dei fratelli. – Ho lavorato alla costruzione di un impianto metallurgico e poi come ingegnere in una centrale idroelettica. Prima di essere liberato lavoravo nel cementificio di Tula.
– E te, Nikolaj, come te la sei passata invece? – chiese Andrej.
– Ho continuato con il calcio – rispose Starostin. – Prima a Uchta, poi a Chabarovsk nel lontano oriente. Infine, non ci crederete, Vasilj, il figlio di Stalin, mi ha fatto tornare a Mosca per allenare la sua squadra. Lui e Berjia si odiavano e per un pò sono stato la posta in palio tra loro due. Quando hanno arrestato quella foca permalosa ero ad Alma Ata.
– Non ci hanno piegato – intervenne Andrej. – Siamo ancora qua, tutti e quattro. Ora inizia una seconda vita.
NOTA. Questi dialoghi sono frutto di fantasia e nella migliore delle ipotesi sono verosimili. Ho tratto ispirazione dal libro Spartak Mosca. Storie di calcio e potere nell’URSS di Stalin di Alessandro M. Curletto. Alla cui lettura rimando per l’accurata ricostruzione storica.
Credits Image: Studio Polpo
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