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La mia parte irrazionale

Alla vigilia del Giro 2004, che partiva da Genova, ebbi la fortuna di pedalare per un centinaio di chilometri a ruota di Cipollini e della sua squadra di quel periodo, la Domina Vacanze. Di quel giorno, oltre ad una emozione ed un’euforia indimenticabili, porto con me la pedalata del lettone Andris Nauduzs: potente e concentrato, poco prima del bivio per Fumeri colpì con il pedale un cartello triangolare a bordo strada, facendolo schizzare nella piazzola antistante senza battere ciglio e senza interrompere quel perfetto movimento dei suoi pedali.
Da quel giorno la pedalata di Nauduzs rappresenta per me l’idea di fermezza, decisione e razionalità, la perfezione dell’essere umano che guarda avanti e non si fa influenzare o distrarre dal superfluo, dalle difficoltà o dagli imprevisti della vita. Una macchina efficace e razionale, incorruttibile dall’incerto, dall’etereo o dall’imperfetto. Padrone della propria strada.
Credo fermamente che i vittimismi siano scuse ignobili e la sfortuna derivi da un atteggiamento sbagliato, a chi mi parla di complotti rispondo che pensare a qualcuno che tira i fili della nostra vita sia una mancanza di rispetto verso la nostra dignità di esseri razionali.
Poi però c’è una parte irrazionale, che giustifica le mie mancanze e cerca di dare un senso alla durezza della verità, provando a rendere un po’ più comodo il mio posto nel mondo: la mia parte irrazionale si occupa spesso di ciclismo.

treno cipollini

Perché partendo da questo sport meraviglioso si finisce sempre a parlare di doping? I ciclisti sono gli unici sportivi a doparsi? Sono quelli che si dopano di più? Sono dei delinquenti o dei drogati dipendenti da sostanze in grado di trasfigurarli come dei mutanti? Sono dei pazzi? Il ciclismo è uno spettacolo truccato? E se la risposta alle precedenti domande fosse sempre e solo “no”, come mai i media e l’opinione pubblica sono così ostili nei confronti del ciclismo e dei suoi praticanti di qualsiasi livello?
La mia parte irrazionale mi dice che il ciclismo fa paura a tanti e, seppure nemmeno “lei” creda nell’esistenza del Rotschild o del massone di turno che governa il mondo, sia meglio non renderlo troppo popolare.
Ciclismo e doping sono legati insieme a doppio filo da sempre, sin dagli albori del secolo scorso quando per fare notizia le corse non potevano durare meno di 12 ore, quando battere i record era lo scopo di ogni pioniere di qualsiasi disciplina. Poi arrivarono i soldi, ci si dimenticò dei record ma le medicine restarono. Tornarono i record ed il resto non cambiò ed arrivammo agli anni novanta, quando i ciclisti iniziarono a morire.

Ma i ciclisti non sono stupidi, vivono nel mondo, percorrono le strade e parlano con le persone: non esiste per loro un’arena o una palestra che li protegga dalla vita vera, e nella vita vera si muore. Nessuno vuole morire per colpa delle medicine, neppure per i soldi e neppure per i record: la bicicletta è già pericolosa di suo e questo basta.
I ciclisti hanno voluto l’antidoping, per non morire e continuare ad andare i bicicletta. I ciclisti non sono stupidi e mandano avanti il loro circo, prendendo sempre meno medicine.

Senza medicine il ciclismo è un mondo perfetto, dove vince il più bravo da dovunque esso venga, dove si lavora tutti per uno ed uno per tutti senza chiedere nulla in cambio, dove tutti applaudono tutti. Un mondo dove l’audacia viene premiata, la solidarietà incoraggiata e dove non esiste la sconfitta umiliante di chi ha perso chissà cosa, si arriva tutti in fila e finisce lì. Va da se’ che se il ciclismo diventa popolare…

Le persone vanno a vedere le corse invece che allo stadio ed alle corse non si paga il biglietto.

Le persone vanno in bicicletta e sono più sane e non comprano più le medicine.

Le persone vanno in bicicletta invece che in macchina e non comprano più la benzina.

Le persone vanno in bicicletta e sono meno incazzate e se sono meno incazzate sono meno controllabili.

Le persone vanno in bicicletta e se sono più sane, più felici e meno incazzate diventano più intelligenti e consapevoli.

Le persone intelligenti e consapevoli hanno sempre fatto paura. Ed hanno sempre usato la bicicletta.

Per fortuna i ciclisti non sono perfetti e qualcuno ogni tanto si fa beccare all’antidoping. Basta farlo sapere ai quattro venti e ribadire il concetto: bravi si, ma col vizietto. Meglio non imitarli più di tanto, si potrebbe diventare troppo furbi.

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Davide Podesta
Nell’agosto 1997 ho acceso la tv ed invece dei cartoni ho trovato la Classica di San Sebastian. Da quel giorno è stato solo ciclismo, pedalato, gareggiato e raccontato ma soprattutto vissuto. Per me non è metafora di vita, è l’essenza: un amore incondizionato e puro, critico e consapevole ma neppur minimamente deteriorabile. Se leggo la Gazzetta in un bar lascio aperta la pagina del ciclismo affinché qualcuno la legga, se la discussione finisce sull’argomento state certi che metterò il cuore sul tavolo. Trasgredisco solo per le Olimpiadi, sia estive che invernali e detesto ogni critica che non sia costruttiva, soprattutto quelle di chi non accetta il passare degli anni. Suoi e degli altri.
Davide Podesta

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