Continuavo a ripetermi che all’indomani avrei incontrato un professionista del freestyle motocross, disciplina nata negli USA per gioco e diventato oggi sport conosciuto a livello mondiale. Questo freestyler, gergalmente parlando, è un gran manico. Fa parte di una delle crew più importanti d’Europa (Daboot, ndr), gira il mondo, infiamma decine di migliaia di persone con i suoi trick anti gravitazionali e ha inventato la mototerapia. E questo lo rende ai miei occhi un professionista incredibile, con un cuore grosso come il polmone della sua KTM 2 tempi. La notte prima ho ripassato mentalmente le domande, mi giravo e rigiravo nel letto tra un mugugno e l’altro del gatto Fedor. Poi alla fine sono piombato tra le braccia di Morfeo. Al mattino le previsioni ci avevano preso: sole e cielo cobalto. Giacca d’ordinanza, guanti, sistemi di sicurezza e pieno nel serbatoio della Kawasaki. E via: il 4 cilindri giapponese della casa di Akashi frullava leggero, mentre mi godevo i profumi di una splendida giornata ottobrina. Vanni Oddera è lì ad aspettarmi, al bar del paese natìo: Pontinvrea. Dopo le presentazioni, salgo a bordo del suo Defender e arriviamo alla sua magione, che lui stesso descrive come la casa di Alice nel paese delle meraviglie. Il suo box è quello dei sogni di ogni appassionato, con le moto disposte sul cavalletto centrale a fare bella mostra di sé. Iniziamo a chiacchierare subito: è un tipo alla mano, si vede che fa motocross, gli piace parlare di moto ma quel tanto che basta perchè l’argomento non sia cardine della conversazione. Con lui un paio di amici, uno si è infortunato in allenamento e ha il tutore per busto e schiena. E entrambi scendono nel park prima di noi per preparare le rampe dell’allenamento odierno.
Vanni, come mai la scelta di un 2 tempi per questo sport quando ora le 4 tempi vengono preferite un po’ da tutti?
«Le 4 tempi sono meglio, è vero, per fluidità d’erogazione del motore e coppia a bassi regimi. Ma questa – dice ridendo – è quella che chiamo la moto da ca**o duro: brutale, cattiva nell’erogazione, come piace a me!».
Ovviamente il 2 tempi ha un fascino intramontabile. Quante volte ti alleni in previsione di uno show?
«Mi alleno 2/3 volte a settimana. In inverno cala un po’ la media ed è il periodo dell’anno più strano per me: succedono sempre un sacco di incidenti e molte volte rifletto sulla pericolosità di questo sport. Devi essere sempre al top, sia come condizione mentale che fisica. Non sono ammessi errori quando sei lassù».
Cosa consiglieresti a un ragazzo intenzionato ad affrontare il percorso di freestyler?
«Di non cominciare! Scherzi a parte, innanzitutto di fare molto motocross. Nel freestyle è indispensabile avere una buona base di motocross, nonostante i movimenti del corpo per affrontare rampe e salti siano diversi. A volte proprio l’opposto».
Immagino non sia facile trovare strutture come la tua. Sul sito della Daboot ho visto che tu e altri freestyler in tutta Europa mettete a disposizione i vostri park per provare.
«Si, devi sapere anche tutte le difficoltà che ci sono dietro la costituzione di un park così, costruito, tra le altre cose, in una mia proprietà. Mi hanno fatto una multa perchè la rampa d’atterraggio in terra era di 30 centimetri più larga di quello che doveva essere. Purtroppo ci sono moltissimi nodi legati alla pratica di alcune attività che determinano il loro mancato sviluppo».
Spesso ti esibisci nell’Est Europa, in Russia specialmente, dove sono molto amanti di questi show: cosa puoi dirmi a riguardo?
«Guarda, in Russia mi è capitato di fare uno show nel momento di crisi del rublo dovuto alla situazione tesa con l’Ucraina. Molti parenti e amici ci chiamavano perchè alla tv trasmettevano immagini di scontri. Noi rimanevamo attoniti a quelle domande, perché in realtà la situazione era diversa. Credo che l’influenza estremamente occidentale che ci inculcano i media a volte distolga dalla realtà. Il nostro show, infatti, davanti a oltre centomila persone è andato comunque benissimo, una figata incredibile! In quei giorni con altri freestyler abbiamo provato l’ebbrezza di girare con le gomme chiodate su un fiume ghiacciato, col costante rischio che la superficie cedesse. E in effetti con la motoslitta è accaduto, ma ci è andata bene! Poi da lì siamo andati a esibirci nell’estrema punta orientale della Russia, a Vladivostok. Incredibile».
Veniamo alla mototerapia: prima di te nessuno aveva mai pensato a una possibilità del genere. Come è nata l’idea?
«Innanzitutto io credo che i motociclisti siano persone profondamente diverse dagli altri sportivi, più buone o comunque portate a fare del bene. L’idea è semplice ed è esattamente questa: ognuno può offrire qualcosa a persone affette da differenti disabilità, che possano farle sorridere. Sai suonare uno strumento? Perfetto, puoi mettere la tua passione, per poche ore ogni tanto, al servizio di qualcuno. Io lo faccio con il mio lavoro. Spesso mi è stato chiesto: Vanni, ma che miglioramenti dà? Come mi incazzo quando me lo chiedono! E’ ovvio che clinicamente non sia una medicina, ma vorrei che vedeste i volti di quelli che arrivano alle mie giornate, prima e dopo esser saliti sul pullman. Wow – quasi non trova le parole per descrivere l’emozione – sono felici, cazzo».
E’ davvero bello sentirti coinvolto in questa tua “creatura”. Come si svolgono le giornate di mototerapia solitamente?
«I ragazzi arrivano accompagnati dalle associazioni a cui sono affidati, gli si descrive la disciplina e quello che vedranno. Inizialmente sono un po’ titubanti, ma poi, dopo qualche salto, vengono totalmente rapiti dalle evoluzioni che compio a volte da solo, a volte con l’aiuto di amici riders. A quel punto è un tripudio, si scatenano ed è altrettanto bello poterli caricare in moto per fargli fare un giro in moto. L’espressione di cui parlavo prima quando vanno via è la cosa più bella di questa attività. Sono felici, sorridono e questo vale per me molto di più che la possibilità di esibirmi di fronte a migliaia di persone. La mototerapia non è riconosciuta come può essere l’ ippoterapia e mi incazzo quando miei “colleghi” si dicono impossibilitati a partecipare perché impegnati. Dai, non vuol dire niente, se vuoi il tempo lo trovi».
Ho saputo che Valentino Rossi e la VR46 (società di proprietà di Rossi che gestisce immagine, merchandising etc) mandano dei gadgets da distribuire ai ragazzi con cui fai mototerapia.
«Si, assolutamente. Mi hanno contattato loro e da quel momento mandano merchandise ufficiale della VR46 da offrire ai ragazzi al termine delle giornate di mototerapia. Sono molto contento perchè è una bella realtà e una bella iniziativa da parte loro. Ah, proposito, bravo, devo chiamare questo ragazzo della VR46». E scusandosi si allontana per chiamare un membro della VR46 in partenza per il gran premio del Giappone a Motegi.
Quanto è difficile organizzare una giornata di mototerapia? Ho visto in rete un video molto bello dove è stato coinvolto il comune di Pontinvrea a tal proposito.
«Molto difficile, difficilissimo per tantissime questioni soprattutto burocratiche tipiche dell’Italia. Però su questo argomento ci sarebbe da scrivere un libro infinito! Quando possibile coinvolgiamo le autorità, come nel caso del video che hai visto delle Officine Sospese, con quella magnifica giornata che ha coinvolto il sindaco del paese, le forze dell’ordine e la Daboot».
Non ruberò altro tempo al tuo allenamento quotidiano, Vanni. Dove ti vedremo prossimamente?
«Figurati, faccio ancora un’uscita e poi basta parlare di moto. Ho voglia di andare a cercare funghi oggi! (Quasi) sicuramente al Freestyle Supercross di Genova, che in Italia è un po’ la capostipite storica del movimento freestyle. Poi all’EICMA di Milano il 18 novembre, dove mi esibirò in una giornata di mototerapia davanti a moltissimi ragazzi! Cerca di venire, perchè ci sarà da divertirsi!»
Vanni esce ancora per un’ultima sessione di salti ed evoluzioni, ma prima mi regala un “autografo” sulla giornata trascorsa. A modo suo. Ammetto di essermi divertito parecchio a girare il video qui sotto. Poi scambio due parole con Matteo, che mi conferma che Vanni è così: atipico. Parlare sempre e solo di moto lo stufa, le sue radici sono lì, nel verde, nel contatto con la natura, nell’impegnarsi al massimo nel suo pericoloso lavoro senza però tralasciare lo svago, andare a pescare, andare a funghi, inerpicarsi su qualche monte con una tenda e legna per un falò.
Lascio il campo di allenamento di Oddera e mi incammino lungo la statale del Sassello a ritroso, voglio godermi il viaggio di ritorno, le curve a filo gas che ti fanno sentire ogni centimetro di asfalto sotto il culo. Vanni Oddera ha fatto suo l’aforisma che molto spesso dovremo tenerci pronto da ripetere come un mantra positivo: “La vita è fatta di giorni che non significano niente e di momenti che significano tutto”.
Si ringrazia per la collaborazione Federico Cecchin e Davide Baroni.
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