Dove gira denaro, il legame con il narcotraffico si fa più probabile. I rapporti tra futbol e traffico internazionale di stupefacenti potrebbero essere riassunti efficacemente con questa semplice massima. E no, non si tratta di un libro di Don Winslow (da leggere assolutamente sia Il potere del cane che Il Cartello) o di una serie su Netflix (imperdibili le due stagioni di Narcos). E’ la realtà, con tanto di coinvolgimenti politici, mondo iper-connesso e una multinazionale, quella narcotica, che non conosce confini o muri (dato che sono tornati prepotentemente di moda).
Prima dei cartelli messicani, anche Pablo Escobar aveva usato il calcio come lavanderia per ripulire il denaro proveniente dal narcotraffico. E quando l’Atletico Nacional non bastava, e non bastava, lo sotterrava in buche sparse in tutta la Colombia. Non stupisce quindi la prossimità fra il Chapo Guzman, capo del Cartello del Sinaloa (arrestato a gennaio 2016), e le decine di trasferimenti di giocatori argentini verso il calcio messicano: gli elevati stipendi dei calciatori, infatti, sono da sempre un’ottima centrifuga per gonfiare ingaggi, pagare prestazioni sportive e riottenere denaro pulito. Emblematico, a questo proposito, è stato il trasferimento nel 2007 del “Tecla” Farias, ex-calciatore del Palermo, le cui prestazioni sportive dal River Plate sono state acquisite tramite un intermediario argentino dal Toluca e contemporaneamente anche dal Porto. Ne è nato così un caso internazionale, risolto poi con un’amichevole tra la squadra portoghese e quella messicana. Il risultato, però, è stata l’impossibilità di seguire i milioni di dollari coinvolti nella transazione. Con buona pace della Fifa e la felicità di El Chapo.
Gli affari, si sa, non conoscono confini. E nel mondo iper-connesso, anche il calcio è globalizzato. Lo dimostrano le dichiarazioni di Jorge Vazquez, sottosegretario del ministero degli interni uruguaiano, secondo cui lo sport, in particolare il calcio, sarebbe uno degli ambiti a cui dedicano maggiore attenzione le organizzazioni internazionali che si occupano di riciclaggio di denaro. Dichiarazioni che puntualmente trovano riscontro nella realtà.
Patricio Gorosito, ad esempio, ex presidente del Real Arroyo Seco, club argentino di Santa Fe, è stato condannato a 19 anni di reclusione per il caso Carbon Blanco (traffico di una tonnellata di cocaina verso l’Europa). Il 65enne argentino ha ammesso di essere stato il prestanome di Julio Grondona, ex presidente dell’Afa, e di aver costruito ad Arroyo Seco, città del dipartimento Rosario (Santa Fe), uno stadio da 12 mila posti con tanto di campi da tennis e hotel 4 stelle, che successivamente ha venduto al Rosario Central per la cifra di 16 milioni di dollari. Quota molto al di sotto del prezzo di mercato, giustificata dall’urgenza di liquidità dell’imprenditore. Ma quel che più sorprende di questa vicenda, è la capacità di Gorosito di capitalizzare al meglio l’amicizia con Grondona e stringere accordi commerciali anche con grandi club europei come il Barcellona di Juan Laporta. Tanto che nel 2008, per riprendersi dall’ infortunio muscolare, anche Lionel Messi utilizzò il club e l’impianto costruito ad Arroyo Seco.
Ma è l’intero mondo calcistico americano ad essere scosso dalle indagini sull’intreccio tra criminalità, corruzione e sport. In Honduras, ad esempio, il 2015 non solo ha visto l’omicidio con 18 colpi di pistola del nazionale Arnold Peralta, ma anche l’arresto a Miami con l’accusa di traffico di droga e riciclaggio di Yankel Rosenthal, ex ministro e presidente del Club Deportivo Marathon, una delle squadre di calcio più importanti dell’Honduras. In Colombia, 8 club (tra cui Once Caldas, Águilas Doradas, Envigado Fútbol Club, Chicó FC, Cortuluá, Unión Magdalena, Valledupar e Depor FC) sono oggetto di indagini per collegamenti con il traffico di droga. In Messico, nel febbraio 2016, è stato catturato Tirso Martinez Sanchez, presunto capo di cartello e accusato di riciclaggio con le squadre di Queretaro, Irapuato e Celaya. Ad El Salvador, contro alcuni manager dell’Isidro Metapan, persino Barack Obama ha ordinato sanzioni per presunto riciclaggio di denaro ed evasione fiscale. Nel 2017, è notizia di questi giorni, il dipartimento del Tesoro statunitense ha identificato e sanzionato Rafa Marquez, capitano della nazionale messicana e ex giocatore di Barcellona e Verona, come fiancheggiatore di una struttura di riciclaggio di denaro affiliata al narcotrafficante Raul Hernandez Flores.
E l’Italia? Nel nostro paese la situazione è molto più sfumata. I cartelli nostrani, infatti, non sono mai riusciti ad entrare direttamente nella gestione dei club. O meglio, per lo meno non in quelli di prima fascia. E almeno fino ad ora. E’ utile ricordare, però, che l’80% della cocaina che circola nell’Europa Occidentale giunge nel vecchio continente tramite il porto di Gioia Tauro. E che forse non è azzardato ipotizzare che gli interessi di camorra e ‘ndrangheta, ad esempio, non siano tanto nella gestione diretta dei club, quanto in attività più contigue al rettangolo verde. E forse anche più remunerative.
Sarebbe quasi da scommetterci.
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