Il filosofo Benedetto Spinoza diceva che Dio è triangolare, come il triangolo del telaio formato dai tubi verticale, orizzontale e obliquo – Ernesto Colnago
A sfogliare le pagine de Il Maestro e la bicicletta (ed. 66thand2nd, 128 p, 2020), conversazione con Marco Pastonesi di uno dei geni artigiani che forse più ha rivoluzionato il mondo della bicicletta, Ernesto Colnago, sembra di sentir scorrere le note di Boxe a Milano di Pacifico. Le suggestioni di partenza sono le stesse: Ignis, Virtus, Cinzano, insegne luminose in piazza Duomo, stazione Centrale e vite in valigie di cartone alla ricerca di un domani migliore. E’ la storia degli anni ’50 in Italia, ma soprattutto è la storia di Ernesto Colnago: infanzia povera, primi telai da operaio alla AMF Gloria di Focesi – dove lavorava anche Gian Maria Volontè – le avventure da corridore e la prima bottega, il cinque per cinque di fronte all’osteria più frequentata di Cambiago.
Poi l’incontro con Fiorenzo Magni, che segnerà l’inizio della carriera da meccanico nel mondo del ciclismo professionistico, fino ai Tour de France al servizio di Eddy Merckx, per arrivare ai mondiali di Vittorio Adorni e Giuseppe Saronni. E anche oltre: il telaio con cui Tadej Pogačar ha vinto la crono-scalata di La Planche des Belles Filles, trionfo che gli ha permesso di scavalcare alla penultima tappa Primo Roglic e di aggiudicarsi il Tour De France 2020, è stato preparato – rigorosamente di notte – da Ernesto Colnago in persona.
A conti fatti non è solo la storia del meccanico, del telaista (forse il più grande di sempre), dell’industriale, ma soprattutto è il racconto di un grande artigiano – nell’accezione che questo etimo possiede, derivando dal sostantivo arte. E non è un caso, infatti, che la bici con cui Eddie Merckx nel 1972 infranse al velodromo Agustin Melgar di Città del Messico il record dell’ora, sia stata esposta al MoMA – il Museum of Modern Art – di New York. E andò a ruba: finita la mostra la bicicletta venne restituita senza pedali!
Leggere la storia di Colnago – raccontata in conversazione con Marco Pastonesi, artista della parola sportiva – non significa soltanto immergersi in aneddoti e saldature, ma anche toccare con mano, e da vicino, gli sviluppi della tecnologia ciclistica. Se la prima bicicletta, La Freccia di Cambiago del 1955, era in acciaio (ma a suo modo già all’avanguardia), con il prototipo Concept, nato nel 1986 dalla collaborazione con Enzo Ferrari, arriva la svolta: telaio e congiunzioni sono in carbonio. E fu l’inizio della rivoluzione.
Tra incontri e folgorazioni (con Fausto Coppi, Gianni Brera e papa Wojtyla), si arriva fino ai giorni nostri, al coronavirus e alla cessione alla Chimera Investments Llc, fondo di Abu Dhabi che è anche proprietario del team Uae (la vecchia Lampre), che non a caso utilizza le biciclette note in tutto il mondo con il logo inconfondibile dell’asso di fiori; alla morte della moglie Vincenzina e del fratello Paolo, spalla fidata di Ernesto in fabbrica.
Ma i progetti di patron Ernesto continuano.
Perché non è vero che è già stato inventato tutto.
C’è sempre qualcosa da fare. Anzi, Gh’è semper on quaicoss da fa.
L’amore per la bicicletta – come quello del Maestro per Margherita, protagonisti del romanzo di Bulgakov, da cui il libro della 66thand2nd trae ispirazione per il titolo – prosegue nei taccuini, nelle visioni e nei telai dell’Ernesto.
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Marco Pastonesi
Grazie di cuore
Francesco Pedemonte
AuthorGrazie a te, Marco! per i tuoi libri e la tua capacità di raccontare grandi storie di sport