A Johann Trollmann piacevano le moto e i giubbotti di pelle. Era soprannominato Rukeli, che in lingua sinti significa albero, ma da donne e uomini era conosciuto come Gibsy, parola che aveva fatto cucire anche sull’elastico dei pantalocini e che riempiva i titoli dei giornali della Repubblica di Weimar. Johann Trollmann era un un pugile, medio e medio-massimo, un campione tedesco. Ed era zingaro, motivo per cui sarà perseguitato dal Nazismo fino al campo di concentramento di Neuengamme. La sua storia, apparsa in rete e su carta stampata in ordine sparso, ha trovato unità e ottimo racconto in un bel libro: Alla fine di ogni cosa. Romanzo di uno zingaro di Mauro Garofalo (Frassinelli, 2016), giornalista e camminatore delle alte vie di montagna, che ha portato su pagina la vicenda umana e sportiva del pugile sinti.
La carriera di Trollmann parte da Hannover, quando nel 1929 viene notato da Ernst Zirzow, suo futuro manager e figura quasi paterna che, dalla palestra dell’Associazione sportiva dei lavoratori Bc Sparta Linden, lo porterà a Berlino. Qui combatte fra i professionisti e, seppure con qualche battuta di arresto, inizia a vincere e a diventare famoso. La boxe di Rukeli è innovativa, fatta di scambi veloci, movimenti istantanei, gioco di gambe, dinamicità e potenza (Gianni Mura in un articolo apparso su Repubblica nel 2016 lo definisce un Muhammad Ali ante-litteram). I trionfi e lo stile nuovo lo fanno diventare un pugile popolare, che piace a donne, ragazzini e giornalisti. E dopo aver conosciuto Olga, futura moglie e amore della vita, nel 1933 arriva finalmente a competere per il titolo nazionale dei medio-massimi.
E’ paradossale pensare che la vita pugilistica e personale di Rukeli si evolva e raggiunga il culmine parallelamente alla presa di potere del Nazismo. Nel 1933, infatti, Hitler diventerà cancelliere e il 27 febbraio le SS distruggono il Reichstag, rogo a cui, da lì a poche settimane, seguirà quello dei libri. A questo vanno ad aggiungersi la persecuzione degli oppositori politici, le prime discriminazioni contro ebrei, zingari e omossessuali e l’annientamento di ogni forma di istituzione democratica.
E’ in questo clima che, il 9 giugno del 1933 alla Bockbrauerei di Berlino, dopo la rinuncia al titolo di Seelig (pugile di origine ebraica che fuggirà fuori Germania), Trollmann combatterà per il titolo nazionale contro il tedesco Witt, un match in cui si scontrano due idee distinte di boxe: da un lato il pugilato fantasioso e creativo di Trollmann, dall’altro il paladino del Nazismo – Witt in tedesco significa vittoria – che incarna gli ideali pugilistici del FaustKampf, interpretando la boxe come esempio massimo di virilità, quasi un’arte del combattimento in cui si palesano le migliori qualità ariane. Sul ring vincerà Trollmann, fuori dalle corde sarà il pubblico ad acclamare la vittoria di Rukeli e a mandare KO il tentativo di no-decision attuato Georg Radamm, presidente della federazione pugilististica tedesca e gerarca nazista.
Ma aver battuto Witt non sarà sufficiente per mantenere il titolo. Soprattuto se poi la gente ha acclamato a gran voce la vittoria di uno zingaro contro il volere del regime. Pochi giorni dopo l’incontro, infatti, la Federboxe toglierà la vittoria a Trollmann con la motivazione di non aver onorato il Deutscher FaustKampf e aver tenuto una boxe effeminata e fatta di gesti animaleschi. Non pago, Radamm obbliga Trollmann a combattere contro Gustav Eder, imponendogli anche una ferrea condizione: abbandonare la sua boxe e seguire i canoni pugilistici ariani. Ovvero, due pugili al centro del ring che si massacrano fino allo sfinimento.
Il 21 luglio, nuovamente alla Bockbrauerei di Berlino, Johann Trollmann, detto Rukeli e conosciuto come Gibsy, si presenta sul ring con i capelli impomatati biondi e con il corpo cosparso di farina. Truccato da puro ariano, con la gambe a mo’ di radici – proprio come l’albero del suo soprannome – non si schioderà dal centro del ring. Sfidando il regime, si lascia massacrare da Eder fino al quinto round.
Poi cadrà al tappeto.
Dopo il match con Eder, Trollmann disputa ancora alcuni incontri, perdendone la maggior parte. Poi la federazione gli toglierà la licenza per demeriti sportivi e umani: i pugili di razza inferiore non possono più salire sul ring. Rukeli vive un ultimo momento di felicità con la nascita di Rita, poi la definitiva discesa all’inferno. Le Olimpiadi del ’36, l’Anshluss (l’annessione dell’Austria alla Germania), la Notte dei Cristalli e la prima legge contro gli zingari che risale al ‘38: in base alle ricerche biologiche-razziali condotte da Robert Ritter e la sua assistente Eva Justin, gli zingari vanno considerati una razza degenerata.
Untermenschen. Sub-Umani.
Per proteggere la moglie Olga e la figlia Rita, Trollmann divorzia. E dopo l’invasione della Polonia viene arruolato a forza e spedito dapprima sul fronte orientale, poi in Belgio e in Francia. Infine, escluso dalla Wehrmacht per motivi di politica razziale, viene internato nel campo di concentramento di Neuengamme. Targetta 9841, un numero nel Porajmos, lo sterminio degli zingari voluto da Hitler. Nel campo, gestito da Albert Lutkemeyer, ex-arbitro della federazione pugilistica, viene riconosciuto e costretto a combattere contro i soldati per un tozzo di pane in più. Spostato a Wittenberge, sottocampo di Neuengamme, nel 1943 viene riconosciuto da Emil Cornelius – kapò e ex pugile dilettante – che si impunta per combattere contro l’ex campione di Germania.
Trollmann lo manderà a tappeto, ma pochi giorni dopo verrà ucciso dallo stesso Cornelius.
Nel 2003 la Bund Deutscher Berufsboxer, la Federazione Pugilistica Tedesca, ha riconsegnato ai famigliari di Trollmann la corona di campione dei pesi medio-massimi. Di fronte all’ascesa del Nazismo – al pari di Matthias Sindelar – Trollmann decise di restare in Germania, di vivere il suo sogno e realizzare la propria vita. Piace pensare che il titolo riconsegnato non sia solo un gesto simbolico legato allo sport, ma anche e soprattutto una medaglia d’oro alla resistenza, un riconoscimento alla lotta nella sua forma più pura, all’opposizione “arborea” di Rukeli e alla legittima ostinazione di un uomo che con i gesti della propria esistenza ha letteralmente sfidato il Nazismo, rivendicando un principio molto semplice e per questo sempre brutalizzato in tempo di barbarie: quello del diritto all’esistenza e alla felicità.
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