La vicenda umana e sportiva di Mathias Sindelar è una storia di Resistenza, di quelle che uniscono il calcio alla vita e di conseguenza alla Storia. Nello Governato, autore de ‘La partita dell’addio’, ex centrocampista di Como, Lazio, Inter, Vicenza e Savona, penna alla mano ha romanzato le vicende del “Mozart del pallone” in un libro che è una storia di sport e opposizione. Chi è stato Mathias Sindelar? Semplicemente uno dei calciatori più forti della sua epoca. Assieme a Meazza e Sarosi uno dei primi a sfruttare la propria immagine, ad avere sponsor personali e a trar profitto reclamizzando orologi, vestiti o generi alimentari. Richiesto da mezza Europa calcistica, preferì sempre vestire la maglia bianco-viola dell’Austria Vienna. Anche quando giocare fuori dai confini viennesi avrebbe significato tutelare la propria incolumità. Nato il 10 febbraio 1903 a Kozlov, nell’odierna Repubblica Ceca, fu protagonista, e capitano, del mitico Wunderteam austriaco di Hugo Meisl: 43 presenze e 27 goal tra il 1927 e il 1938. Storico è rimasto il duello ingaggiato nella semifinale mondiale del ‘34 con il centromediano italiano Luis Monti, detto il boia: 1-0 il risultato a favore dell’Italia e Sindelar all’ospedale con un ginocchio sfasciato. Per quanto, se non fosse stato per le amorevoli cure di Monti, Matthias mai avrebbe conosciuto Camilla Castagnola, italiana di religione ebraica che sarà la sua compagna per la vita.
Sindelar e il Wunderteam, due voci di un paradigma che si completa solo con il nome di uno stadio: il Prater di Vienna, teatro delle sue prodezze e terreno in cui, assieme a Karl Sesta, sfidò il nazismo. Il 12 marzo 1938 le truppe naziste entrarono a Vienna: si realizzava l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. La fine non solo di una nazione, ma anche di una nazionale e l’inclusione dell’Austria alla “Grande Germania” non solo in termini geo-politici, ma anche calcistici. La nazionale tedesca, guidata da Sepp Herberger, si trovò ad attingere al parco giocatori del Wunderteam, i mondiali francesi imminenti e un solo obiettivo: la vittoria nella coppa Rimet. E per la macchina propagandistica di regime, quale miglior testimonial se non il grande Sindelar? Il simbolo austriaco, il calciatore apprezzato dagli inglesi, rispettato dagli italiani e che, nelle intenzioni di Berlino, sarebbe stato il “tedoforo” ideale del nazismo in terra francese?
Il 3 aprile 1938, al Prater di Vienna, la prova generale con l’amichevole Austria-Germania: la partita della riunificazione. Il finale fu a favore degli austriaci: 2-0 con goal di Sindelar e raddoppio di Sesta su punizione. A fine incontro il cerimoniale di saluto di fronte ai gerarchi nazisti in tribuna: 20 sieg heil e 2 sole braccia non protese verso gli spalti. Quelle degli autori dei goal. Un gesto di resistenza che non passò inosservato alla Gestapo viennese. Karl Sesta venne prelevato e interrogato. Sindelar, invece, dopo essersi ufficialmente rifiutato di indossare la maglia tedesca agli imminenti mondiali, venne messo sotto stretta sorveglianza. Per le alte sfere naziste era intollerabile il suo aperto dissenso, un caso da trattare con le dovute cautele, proprio in virtù della grande popolarità del calciatore. La Germania venne sconfitta agli ottavi dalla Svizzera per 4-2, Sindelar non partecipò ai mondiali, ma assistette alla finale tra Italia e Ungheria. Mentre Meazza e compagni salutavano romanamente a metà campo, Mathias veniva acclamato come simbolo di libertà da francesi, fuorisciti italiani e dall’intero Parco dei Principi. Sulla stampa tedesca nessun accenno all’accaduto. Anzi. La presenza a Parigi veniva sbandierata come una dimostrazione di tolleranza in seno al Reich.
Ma la realtà, purtroppo, era ben diversa. Nonostante la possibilità di giocare in Svizzera, Sindelar e Camilla decisero di rimanere a Vienna. Preferirono restare per far sapere che esistevano, che continuavano ad esserci, una speranza per tutti quelli che non potevano andarsene. Matthias continuò a fare goal con la maglia dell’Austria Vienna e nella capitale austriaca venne trovato morto affianco alla compagna il 23 gennaio 1939. Ufficialmente la causa del decesso fu avvelenamento da monossido di carbonio, ma le circostanze restano tuttora misteriose. I pompieri, infatti, mai trovarono traccia di gas o di guasti alla stufa o al condotto dell’impianto. Sui cadaveri, poi, non venne praticata alcuna autopsia e nessuno seppe mai perchè fosse stata proprio la Gestapo a scoprire i corpi. E le indagini, infine, semmai avvennero, furono superficiali e chiuse in fretta.
Suicidio o tragico incidente? La voce popolare iniziò a parlare di assassinio.
Le esequie furono seguite da 40 mila persone e oltre 15 mila furono i telegrammi giunti alla sede dell’Austria Vienna. Enorme lo sgomento nell’opinione pubblica europea per la scomparsa di un calciatore capace di trasmettere solidarietà verso chi veniva perseguitato.
Mathias Sindelar, detto Cartavelina e Mozart del Pallone, giocò la sua ultima partita a Berlino contro l’Hertha. Era il giorno di Santo Stefano del 1938.
Fece goal. Non si sarebbe mai arreso.
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