eusebio

Là dove osa il Benfica

A São Domingos de Benfica, quartiere dello Sport Lisboa e Benfica, il 2014 non è stato un anno qualsiasi. Si è celebrato il 110° anniversario di fondazione della società polisportiva più famosa del Portogallo. E’ grazie al fondatore (e poi allenatore) Cosme Damião, nel 1904, se lo Sport Lisboa vede la luce. Un paio di anni dopo nasce il Grupo Sport Benfica, una società sportiva in cui la maggior parte di aderenti pratica come attività il ciclismo. All’alba del 1908 le due società si fondono assieme dando vita allo Sport Lisboa e Benfica, così come lo conosciamo oggi. Lo stemma che si associa alla polisportiva ha come figura un’aquila che sovrasta una ruota di bicicletta su cui campeggia la scritta latina E pluribus unum (trad: Da molti uno soltanto”). L’origine di questo motto va ricercata molto indietro nel tempo, nell’Antica Roma, in un’opera dal titolo “Moretum”, il cui autore è sconosciuto e che descrive in breve una ricetta di un formaggio ottenuto dal miscuglio di diverse erbe aromatiche pestate all’interno di un mortaio. Un antenato del pesto genovese.

La storia del Benfica è costellata di momenti magici, tragici e curiosi. Magica è stata l’era di Eusebio, del Benfica delle meraviglie, capace nel quindicennio ’60-’75 di superare le 300 marcature, lui mezzo angolano e mezzo mozambicano nel Portogallo di matrice salazariana. Si parla tanto di fenomeni come Leo Messi e Cristiano Ronaldo, ma la Pantera Nera (questo il suo soprannome) non avrebbe avuto nulla da invidiare tutt’ora ai professionisti dei giorni nostri: tecnica, velocità devastante (era in grado di coprire in meno di 11” i 100 metri con scatto da fermo) e una propensione al gol degna del Ronaldo di fine anni ’90. Ci ha lasciato nella “sua” Lisbona il 5 gennaio del 2014 a causa di un arresto cardiaco, proprio nell’anno del 110° anniversario di fondazione dello Sport Lisboa e Benfica. Il feretro è stato portato in giro per la città e all’interno dello stadio avvolto in una bandiera del Benfica.

Era invece il 3 maggio del 1949 quando Benfica e il Grande Torino di Mazzola si affrontarono allo Estádio Nacional do Jamor, dando vita ad uno spettacolo condito da 7 reti totali e partita che vide la vittoria della squadra portoghese per 4 a 3. Il 4 maggio, sulla via del ritorno, l’aereo del Torino impattò contro un muraglione esterno alla basilica di Superga a causa di una fitta nebbia: tutti i presenti sul volo morirono nella strage calcistica più famosa del secolo, che consegnò la squadrà all’immortalità dei libri di storia. Indro Montanelli, con la sua sapiente schiettezza, ci lasciò una delle frasi più dure e allo stesso tempo morbide a descrizione dell’accaduto: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto “in trasferta”». La più grande curiosità legata al Benfica riguarda la “maledizione” scagliata dall’allenatore Bela Guttmann verso la società stessa, dopo aver conquistato la Coppa dei Campioni. L’allenatore ungherese sosteneva di meritare un premio per il raggiungimento di un simile traguardo ma non erano dello stesso parere i vertici della società portoghese: «Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà bicampione d’Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni».
Negli anni successivi sono arrivati in finale per cinque volte senza vincerne mai una.

Da poco sono stato in Portogallo e dato che colleziono i pantaloncini da calcio delle città in cui metto piede, non potevo esimermi dal fare un salto nel quartier generale delle “Aquile rosse” e portare a casa il consueto trofeo di una delle squadre storicamente più affascinanti dell’Europa Occidentale.

Credit Image: Rod Feliciano

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Alessio Rassi
Nato nello stesso giorno - ma diversi anni dopo – del plurititolato pilota di rally Renato Travaglia o del navigatore Daniel Elena, mi appassiono fin dai primi vagiti a ogni genere di sport motoristico, su strada e su pista. Pratico ogni sorta di sport non-motoristico e questo mi porta a non concludere nulla. Quando finalmente posso dedicare tempo e (pochi) soldi ai motori guidati mi accorgo di aver già troppi anni sulle spalle, facendomene una ragione davanti ad una birra trappista. Utilizzo i week-end di gran parte dell'anno per seguire il Motomondiale, la SBK, l'MX GP, il WRC con IRC annessi e connessi e varie corse su strada. Capita spesso che mi chieda come sarebbe stato fare di un hobby la ragione di vita ma non potendo dare una risposta mi limito a raccontarne qualche fatto, con un casco vicino e la passione nel cuore.
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