L’Enciclopedia Treccani alla voce “gestualità” specifica quanto segue:
«Per gestualità si intende l’insieme dei gesti di una persona considerati come mezzo di espressione e di comunicazione. La comunicazione fra gli uomini non passa infatti solo attraverso il canale verbale: negli scambi comunicativi quotidiani si attivano, parallelamente e contemporaneamente, anche canali paralinguistici (ritmo, intonazione, pause, esitazioni ecc.) e cinesici (posture e movimenti del corpo)[…]»
Durante l’ultimo Derby della Mole il 24enne Bruno Peres prende palla dalla sua area e con una fuga solitaria lunga 78 metri segna uno strepitoso gol di potenza e tecnica. A nulla valgono i tentativi di fermarlo provati da blasonati campioni: contrasta il fenomeno Pogba, salta il velocista Evra come fosse la pedina di una impolverata scacchiera, persino il cileno Vidal rinuncia in partenza a contenerlo come spinto via da un’aura di potenza e, infine, scocca una cannonata che gonfia la rete dopo aver colpito il palo alle spalle dell’incredulo Storari. Ecco come si potrebbe tradurre la parola “gesto tecnico” nell’enciclopedia del calcio. Lo sport è pieno di esempi esaltanti ed è grazie ad essi che ci si appassiona, si salta sul divano o allo stadio, ci si abbraccia e si urla in preda ad un’estasi che può essere solitaria o collettiva a seconda del luogo e del momento.
E’ strano che mi venga in mente proprio il seguente tra mille esempi che potrei fare, ma, calcisticamente parlando, ricordo, con annesso brividino lungo la schiena, un gol segnato di testa da Hernan Crespo contro la Juve nel periodo in cui vestiva la casacca genoana: palla crossata da Mesto dalla destra, stacco imperioso del Valdanito ad anticipare il centrale e la violentissima incornata nella rete. Questione di attimi, un lampo e il tuono. Quel giorno ero in gradinata e alla fine del delirio di massa credo di essermi trovato almeno 5/6 file avanti. La bellezza di un gesto atletico, la coordinazione dei muscoli, tesi a trovare il momento giusto per incrociarsi tutti insieme in una sorprendente collaborazione con il sistema neuromuscolare, costituiscono e costruiscono lo stesso.
Riguardare in slow motion i 100 mt di Usain Bolt ai mondiali di Berlino del 2009 sintetizza la faccenda. 9”58. Secondo Peter Weyand della Southern Methodist University, in quei pochi istanti ci sono migliaia di contrazioni che si dividono in un paio di fasi: una prima aerea, in cui la pianta del piede è sospesa, e una seconda in cui viene a contatto con il terreno sprigionando la relativa potenza. La questione sarebbe di gran lunga più tecnica ed in parte anche noiosa per i non addetti ai lavori, perchè quello che rimane in definitiva è l’atto in sé e non la potenza (intesa come divenire).
Sempre nello stesso anno in cui Bolt fermava il cronometro dei 100 mt piani a 9”58, Valentino Rossi e il compagno di team Jorge Lorenzo si affrontano in una singolar tenzone durante il gran premio di Catalunya, in quella che può essere ricordata come una delle sfide motoristiche più esaltanti dell’ultimo decennio: la danza dei corpi dei due sfidanti, come una gara di nuoto sincronizzato a bordo di bolidi da 250 cavalli, offre spunti per l’appassionato che osserva il modo in cui si rannicchiano sul serbatoio, per poi alzarsi a contrastare la spinta dei freni nella fase delicata di decelerazione, ributtarsi giù divaricando la gamba nel senso della curva da affrontare con il corpo “appeso” all’esterno della carena, fino a opporsi alla forza centrifuga che vorrebbe la moto all’esterno della curva. Il risultato è un magnifico gioco a nascondino che si conclude quando uno dei due sfida la razionalità, portando il cavallino della sua giostra oltre il possibile, a raccogliere la maggior gloria.
Lo sport è bellezza viscerale e analizzarne passo passo le gesta più importanti dovrebbe essere argomento di approfondimento per molte trasmissioni televisive, molto spesso impegnate più alla patinatura che ai contenuti. Ricordo la prima volta che vidi Ronaldo, l’autentico: nel calcio era un punto di rottura tra il vecchio e il nuovo che correva. Non si era mai visto un giocatore tanto potente e devastante in fase offensiva. Immarcabile, in qualsiasi posizione del campo: lo stadio diveniva una bolgia ad ogni suo tocco affinchè non ci si perdesse neanche una sfumatura creata da quel piede, dalla carezza d’esterno – a testa alta – in corsa al pallone come solo pochissimi altri grandi sanno fare, alla tecnica in mezzo a 3 o 4 difensori, situazione tipo in cui si (e ci) esaltava. Maledetto ginocchio.
Dostoevskij nel suo “L’idiota” affida al principe Miškin, personaggio del romanzo, una delle frasi più controverse della letteratura mondiale. Il senso del costrutto “Mir spasët krasotà” è duplice grazie all’utilizzo di un’anastrofe in cui oggetto e soggetto vengono invertiti. La traduzione più semplice che ci rimane dovrebbe essere utilizzata dentro ogni luogo di sport: la bellezza salverà il mondo.
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