Faccio il saputello: io Nico Valsesia lo conoscevo già da un po’. Ben prima che uscisse il suo libro “La fatica non esiste“, sotto l’albero di Natale appena riposto. Conoscevo Nico Valsesia perché quando per divertirsi ci si sottopone a fatiche che altri vedrebbero come torture viene naturale cercare nuovi stimoli, nuovi esempi e nuovi racconti. Google e Sky in questo aiutano parecchio ed è proprio in tv che mi ero imbattuto in un servizio a proposito di un tale che partiva in bici da Voltri, arrivava alle pendici del Bianco ed ultimava a piedi la scalata fino ai 4000. In sedici ore. Era quel Valsesia che avevo scoperto seguendo la Race Across America.
Quando lo sport, soprattutto quello di estrema resistenza (utratrail, ultracycling, ultramarathon), viene raccontato al grande pubblico si rischia spesso di cadere nel banale o peggio ancora nel ridicolo con affermazioni del tipo “corro per trovare Dio“, “pedalo per trovare me stesso” o chissà cosa. Le imprese di Nico invece danno l’idea di essere vissute con una buona dose di entusiasmo e piacere, che non vuol dire fare 5000 km alla carlona, ma nemmeno attribuire allo sport un significato che non ha.
Che poi per carità, secondo me Nico Valsesia qualche volta la Madonna l’ha vista, magari proprio durante la Race Across America: la seguo da qualche anno perché il mio amico Alessandro Colò (ex ciclista professionista) fa stabilmente parte dello staff di Valerio Zamboni, un eccentrico uomo d’affari giramondo che fa base nel principato di Monaco. Ecco come ho scoperto Nico.
Partendo da Borgomanero, dove abita, questo faticatore ha girato il mondo sia a piedi che a pedali, ma anche sugli sci. La sua passione per la montagna è grande e viscerale: finché le pendenze lo permettono le scala in bici, altrimenti corre e da quanto si evince dal suo libro, se c’è la neve è meglio. Mi ha colpito moltissimo il capitolo in cui raccontava di essere in alta quota (credo in Sudamerica, sicuramente in veste di guida alpina/organizzatore di viaggi) e di non aver saputo resistere alla voglia di farsi una corsa dove gli altri salivano in ferrata. E’ partito vestito da ciclista ed è tornato con un edema polmonare. Felice.
Ho cercato di leggere il suo libro tralasciando l’aspetto fisico delle sue imprese, non perché secondario (anzi), ma perché volevo cercare di capire le radici del suo coraggio: se penso di attraversare l’America in bici, di pedalare sulle Ande, o di sciare sui più impervi ghiacciai del mondo mi sento in grado di farlo, assolutamente, ma penso subito a come prendere le ferie, a cosa troverò tornando a lavoro ed a quanto vorrei avere il fottuto coraggio di mettere da parte questi pesi. E partire. Non si tratta di avere o non avere il tempo, il modo o i soldi: si tratta di volerlo fare e per volerlo e farlo ci vuole il coraggio di uscire dalle convenzioni e seguire le strade che ci fanno stare bene. Perchè pedalare non è un viaggio alla ricerca di se stessi o di chissà cosa, pedalare è fare fatica e volerne fare sempre di più, fino a sentirne talmente tanta da pensare che non esista.
La fatica non esiste di Nico Valsesia e Andrea Schiavon, 2014, Mondadori, 121 p
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