delpotro

Il gigante (buono) di Tandil

Se sei alto quasi due metri e pesi quasi cento chilogrammi può risultarti difficile giocare a tennis. Si fa fatica ad entrare in condizione, gli spostamenti in avanzamento sono letali e la velocità non è certo il tuo punto forte. Ma allora come fai a vincere un Open e ad arrivare ad occupare la quarta posizione del ranking ATP? Semplice, ti devi chiamare Juan Martin Del Potro e avere due palle grosse come due bocce da bowling.

La sua storia inizia a Tandil nel settembre del 1988 dove nasce e cresce avviandosi fin da piccolo alla pratica del calcio essendo tifoso del Boca Juniors. Il tennis sarà “solo” la seconda passione, che ben presto diventerà un lavoro. La sua carriera però, sarà un continuo andamento sinusoidale dovuto a infortuni e conseguenti lunghi stop. Un uomo che sportivamente è caduto spesso, ma che ha sempre avuto la forza di rialzarsi orgogliosamente; fiero come solo gli argentini sanno essere, combattivo ma mai fuori posto e sopra le righe. Riservato e simpatico. Un corazon gentile. E, si sa, al cor gentil rempaira sempre amore come diceva Guinizzelli.

Nel 2008 i problemi fisici ad inizio anno lo fanno sprofondare alla posizione 82 del ranking. Poi a tradirlo è la schiena. Ma lui non si scompone e ritorna grintoso ma sorridente come sempre: vince 4 tornei di fila e chiude l’anno al nono posto. E’ nata una nuova stella del tennis sudamericano? Probabile, di sicuro si è acceso un fuocherello nel mio cuore tennistico. Ben peggio gli succede nel 2010 dove sta fuori quasi tutto l’anno e chiude oltre la duecentesima posizione del ranking mondiale. Il polso destro lo ha tradito, prima di quello sinistro. Si, proprio quel polso sinistro operato invece nel 2014 che gli ha fatto saltare praticamente l’intera stagione (chiusa al 338esimo posto) e non gli permetterà di partecipare agli Australian Open del 2015. In tutti questi anni una marea di infortuni lo hanno tenuto spesso fuori dal campo facendogli perdere posizioni importanti nel ranking e precludendo al giocatore argentino di partecipare ai più importanti tornei. Ma lui non si è mai demoralizzato ed è sempre riuscito a ripartire. Con umiltà e tenacia. Il gigante di Tandil lo puoi ferire ma è duro a morire. La torre di Tandil anche se si crepa non cade. E se cade viene ricostruita mattone dopo mattone, punto dopo punto: sono forti e cazzuti questi argentini. E come diceva il poeta, al corazon gentile (e coraggioso) l’amore ritorna indietro. Magari una o due volte solo, ma ritorna.

La prima è allo US Open del 2009: Delpo fa fuori Monaco, Melzer, Kollerer, Ferrero, Cilic e Nadal arrivando in finale per la prima volta in carriera in un Open. Il suo avversario di giornata è Roger Federer, il campione in carica. Tutto sembra far presagire a una doppietta dello svizzero e invece il gigante vince a modo suo, con alti e bassi e senza mezze misure. Federer fa venire spesso a rete l’argentino e la tattica sembra pagare soprattutto nel primo e terzo set, vinti dallo svizzero 3/6, 4/6. Del Potro però risponde con le sue armi: il servizio potente e preciso, un dritto micidiale (il più veloce e incisivo del circuito) e tanto cuore. Si aggiudica così il secondo e quarto set rimontando due volte sua maestà Federer, sempre al tie-break. E quando recuperi a quella maniera vuol dire che è la tua giornata e nemmeno gli dei del tennis ti possono fermare. Vince al quinto set il suo primo e unico torneo Open. Una gioia indescrivibile dopo tanta tensione. Si narra infatti che, la notte antecedente la partita, Delpo, essendo molto nervoso, non riusciva a prendere sonno. Per scacciare la tensione o alleviarla ha iniziato a chiamare tutti i suoi amici d’infanzia di Tandil. In piena notte. Bello bellissimo, lo sportivo di fama internazionale che ha bisogno di casa, di affetto, di amicizie semplici. O semplicemente di fare quattro chiacchere.

La seconda immagine che ho negli occhi è ben più recente: Olimpiadi di Londra, campo centrale di Wimbledon, 2012. Semifinale del torneo olimpico contro Federer: risultato 6/3 6/7 19/17 per lo svizzero. Una sconfitta che scrive la storia del tennis: il match più lungo della storia in tre set. 4 ore e 25 minuti di tennis sublime (che mi hanno completamente rapito), un terzo set che mi ha fracassato il cuore, un pomeriggio delirante, afoso, fantastico per lo sport. Del Potro vincerà poi la finale per il terzo posto contro Djokovic conquistando il bronzo olimpico (primo atleta argentino a medaglia nel tennis della storia) mentre Federer perderà l’oro a favore di Murray.

Insomma Juan Martin Del Potro non può ancora giocare a tennis perché il polso sinistro gli fa male, soprattutto quando esegue il suo rovescio bimane. Salterà l’Australian Open e a me manca il suo sorriso da gaucho e quel suo fare gentile, le sue movenze un po’ goffe, il suo dritto spaventoso capace di inchiodare chiunque e il suo servizio potente e preciso. A me manca tanto, ma sono sicuro di non essere l’unico a pensarla così. E sono convinto che al ritorno, si riprenderà ciò che la sfortuna gli ha tolto, magari quelle 338 posizioni da scalare per arrivare alla vetta.

Quanto mi manca Delpo. Intanto mi guardo un pò di sue perle.

Credit Image: Steven White

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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