Capita spesso di svegliarsi durante un sonno profondo pensando di cadere, e quando accade è sempre un gran bel sogno quello che si stava facendo. Un amico mi raccontava che a lui succedeva una cosa simile con l’aggravante di una forte pressione sul petto, quasi a spezzargli il respiro. Seguivano pianti e uno stato catatonico. Nei bambini fino all’età dell’adolescenza questi eventi prendono il nome di pavor nocturnus, terrore notturno, e solo con il tempo diminuiscono fino a sparire. Crescendo, poi, si prende coscienza del mondo che ci circonda, gli incubi cambiano nome e le ansie si materializzano nella vita di tutti i giorni. Ci proteggiamo dalle paure fingendoci psicologi di noi stessi e verso gli altri: “La verità è che…” – ripetiamo con solerzia e da uomini vissuti. Di queste “verità” non ne vorremmo il peso, né esserne le vittime. Una volta, potrebbero essere passati dieci anni come venti, ho letto un sillogismo sull’amarezza della morte, non tristezza, ma proprio sull’amarezza e diceva più o meno così: «Appena adolescente, la prospettiva della morte mi gettava nell’angoscia; per sfuggirvi mi precipitavo al bordello o invocavo gli angeli. Ma, con l’età, ci si abitua ai propri terrori, non si fa più niente per liberarsene, ci si imborghesisce nell’Abisso» – Alessio Rassi
Il mio Lance Armstrong, al di là dei Tour de France, resta quello di Limoges: pochi giorni prima Fabio Casartelli aveva perso la vita lungo la discesa del Portet d’Aspet e l’americano, suo compagno di squadra ed allenamento, gli rese onore arrivando tutto solo con gli indici rivolti al cielo.
Armstrong avrebbe avuto a che fare altre volte con la morte negli anni seguenti, ma quella è un’altra storia…
Credo che la vita sia meravigliosa e che ogni attimo porti con se un valore immenso, però porto con me anche la tristezza e la consapevolezza che ogni attimo possa essere l’ultimo o uno degli ultimi.
Scendevamo da Antronapiana, più Svizzera che Piemonte, più calvario che salita: il telefono dice che è morto Luca, ovviamente non ci credo, potevano evitarsela e mannaggia a me che a seguire l’allenatore passo sempre per leccaculo. Uno scherzaccio cosi però non me lo merito! Risuona il telefono e Luca è morto davvero, sotto una macchina. Rimpiango il dolore dello scherzo cattivo, questo è dolore vero e non sarà facile scrollarselo di dosso. Testa piantata nel sedile anteriore della macchina, passano Voglio vederti danzare di Battiato:” Voglio vederti danzare, come le zingare del deserto, coi candelabri in testa o come le balinesi nei giorni di festa…” Prima di andare a letto Massimo mi spiegò che quella era la realtà e prima o poi ci avrei sbattuto comunque contro: “Mi spiace ti sia successo così presto e mi spiace per Luca, preparati che succederà altre volte”.
Lessi con le lacrime i giornali dei giorni seguenti: la morte è cruda e dovetti immaginarmi il mio amico, così pieno di gioia e irriverenza, brutalizzato dalle ruote di una imbecille al volante. Non diedi risposta a domande troppo grandi per me e pensai solo a lui fino alla fine della stagione (era agosto) e per tutta la stagione successiva. Non riuscii a dedicargli nulla se non lacrime e rimpianti: non ero un campione e non lo fui mai, tuttavia sopravvalutavo la mia intelligenza e credevo che avrebbe colmato il gap fisico. Avrei dovuto spingere come un dannato e vincere per lui, senza tante parole. Invece furono solo quelle.
Di Luca mi restano gli abbracci dopo le sue splendide vittorie.Paolo Bettini vinse il Lombardia dopo la morte del fratello Sauro, mentre Virenque (foto in apertura) dedicò una tappa del Tour ad un suo amico. Io avrei pagato per la gara della parrocchia.
Non ci sono divinità che scendano al tuo fianco a spiegarti l’aldilà motivandoti quello che sulla terra è andato storto. Restano solo le esperienze condivise e se escludiamo l’amore non trovo altro che la sofferenza. E lo sport è sofferenza brutale a volte condivisa e se va bene intervallata a qualche breve momento di esaltazione. Comunque sofferenza.
I memorial sono abbastanza stucchevoli, servono giusto a commuovere un po’ ed a farci sentire meno in colpa di essere rimasti qua, le ricorrenze anche. E’ in questo ragionamento cinico che restano la fatica e la competizione, dimostrazioni di forza inutili quanto esaltanti. E’ l’unico modo per sentirli ancora vicini, ripetere quei gesti e sentirli accanto a noi. Poco importa che lo siano o meno. Credo che la vittoria, con il suo delirio di onnipotenza, possa aiutarci ad amplificare questa sensazione.
Quando hai vissuto un sogno fianco a fianco, quel sogno merita di essere realizzato: è così e basta e non riuscirci rode, consuma, brucia il cuore. Puoi coltivare l’amore per la tua disciplina e crescere con lei nell’esercizio, puoi esserne appagato e desiderarne ancora, ma il pensiero resta lì: battere tutti i tuoi avversari, essere il più forte e completare l’opera, realizzare il sogno. Alzare le braccia, gridare e sputare fuori tutto come un animale. Abbracciarli.
Dopo Luca se ne sono andati Massimo e Nicolò ed ogni giorno sogno di arrivare in quel punto così alto da rimettere a posto le cose: nonostante le mie debolezze e le occasioni perse o solo sognate. Sono convinto sia possibile e troverò uno sforzo così intenso da portarmi dove voglio.
Si ringrazia Alessio Rassi per la intro!
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