Ammetto che condividere sui social sia una tentazione frequente (e Pagina2cento vive di questo), comprendo che vedere ricompensata la propria fatica con una pioggia di like dia un certo narcisistico piacere e confesso di averlo fatto e farlo ancora ogni tanto, senza troppi sensi di colpa: ho fatto una cosa che mi piace, lo faccio sapere a tutti e finisce lì.
Poi però finisco su Instagram (o Twitter, fate voi) e mi imbatto in situazioni imbarazzanti, roba da cadere dal divano.
Solitamente il minchione scrive in inglese:” Father of two, toilet paper senior buyer, vegan ascetic philosopher, ironman”. E chissenefrega, mi verrebbe da dire, ma in realtà sono curioso e clicco: la galleria di foto non si è ancora caricata che già sono invidioso di questo personaggio, mitico, mistico, forgiato dalla fatica e dalle intemperie più estreme, a metà fra Walter Bonatti, Kenenisa Bekele e Lance Armstrong dopo la chemio. Ed ecco che appare la prima immagine: schermata di un cardiofrequenzimentro-altimetro-gps grosso come il primo Machintosh con eloquente didascalia: “Oggi scarico, 48 min. easy running”. Intuisco di essere davanti ad una pippa, ma continuo a sperare e vado avanti.
Pare che l’auto-celebratore ci creda davvero ed inizia la giornata fotografando le calorie della sua colazione: un porridge di cibi salutari che nemmeno un olimpionico e l’incoraggiante convinzione che tutto questo servirà a qualcosa. Di volti o gambe, nemmeno l’ombra. Sospetto peli lunghi e pancetta da birra (onorevolissimi, ma senza le didascalie in inglese). Con la terza foto siamo quasi alla conferma. Un altisonante titolo quale “Epic ride” precede l’impietoso video (girato con la GoPro) con protagonista il compagno di allenamento: in sella alla bici da crono di Bradley Wiggins, intento a testare i nuovi materiali non si accorge della vecchietta che li sta sorpassando. A piedi e con le borse della spesa. La foto della sessione di nuoto mi stronca ogni speranza: il minchione si fa un selfie prima di tuffarsi e nell’acqua vedo riflesso il fisico di Piero Fassino. Più che Ironman Finisher, spero sia almeno un Survivor. Il nostro minchione (a cui ormai ci siamo affezionati) è sicuramente più lodevole (e qui non scherzo più) di qualunque suo coetaneo o collega che dilapida tempo e salute in un qualche triste bar di paese, sbraitando come un ossesso davanti a Sky.
Non denigro chi ci prova, tanto meno chi ci riesce e ne va fiero, ma occhio a non farsi denigrare da qualcun altro o peggio da se stessi: ho visto un servizio di un tizio che preparava una maratona di Mountain Bike, si motivava come Rocky Balboa e cercava di darsi con le parole una spinta che dentro non aveva. Alla maratona, dopo mesi di allenamento e milioni di proclami, non è nemmeno partito. Perché pioveva.
Mio zio Francesco ha 57 anni e si allena da quando ne aveva 14: prima in palestra, poi di corsa. Ha gareggiato poco e vinto ancora meno ma con il suo corpo sta da dio. Robusto ma asciutto, in Valpolcevera è uno di quelli che corre, tutti i giorni, senza che nessuno sappia come si chiama. Ovviamente a lui non frega un cazzo di tutto questo e continua a correre. Si vuole bene e gli vogliono bene, dignitoso all’ennesima potenza. Conserva due foto degli anni ’80, e va bene così.
Condividere quello che si fa è bello, ma sentirlo è un altra cosa. Fotografare la cima di una vetta è qualcosa, stringere la mano al compagno di scalata è molto di più. Arrivarci soli e sfiniti è ancora oltre.
Si dice “separare i maschi dalle femmine”, chi lo fa davvero da chi lo fa per moda. Lo sport è social quando si fatica insieme, punto. Tanto poi il mal di gambe non lo puoi condividere.
Quanto bruciano i polpacci puoi saperlo solo tu, e se quando ti chiedono “Perché lo fai?” sei in grado di dare una risposta, lo stai facendo per il motivo sbagliato.
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