Il 4 giugno alle 21, ora di Oakland, California, un signore in divisa grigia e pantaloni neri alzerà in cielo la palla a spicchi. Sarà l’inizio delle Finals NBA 2015: di fronte, al meglio delle sette partite, i campioni dell’Ovest, gli ormai non più sorprendenti Golden State Warriors, e quelli dell’Est, i Cleveland Cavaliers. Prima di proseguire, un inciso: lo scorso anno quelli dell’Ohio non raggiunsero neppure i playoff, quelli dello stato delle arance uscirono al primo turno contro i Clippers. È il bello del basket, e in generale dello sport americano: non si sa mai cosa aspettarsi, gli equilibri e i rapporti di forza cambiano in continuazione, anche grazie al meraviglioso sistema del draft. Non vincono, a parte eccezioni, sempre i soliti.
L’unico elemento di continuità rispetto alle finali dello scorso anno (e anche a quelle dei quattro anni precedenti, a dire il vero) si chiama LeBron James. Senza ombra di dubbio il giocatore più forte della Terra: un concentrato di potenza, precisione, capacità di leadership, atletismo, forza fisica, impegno e dedizione. LeBron James penetra, schiaccia, tira da tre, difende, cattura rimbalzi, passa il pallone come un funambolo, ha una visione di gioco da playmaker, un fisico a metà tra un’ala grande e un decatleta, può giocare tutti, e tengo a sottolineare tutti i ruoli della pallacanestro. In più, come se non bastasse, fa giocare meglio i suoi compagni: li stimola, li fa sentire parte di un progetto, valorizza al massimo le loro potenzialità. Giocatori di medio livello, con lui, si esaltano e danno il meglio.
Ovviamente, quando siamo a queste altezze, si scomodano paragoni eccellenti. Meglio lui o Michael Jordan? Chi lo sa. Il mio personale giudizio è che lui sia più simile, per certi aspetti, a Earvin Johnson, meglio noto come Magic. Come Magic, ma più forte. Perché come lui era in grado di ricoprire – e magnificamente – ogni ruolo, ma il Prescelto ha più punti nelle mani e comunica un’impressione di dominanza fisica e tecnica assoluta. Come Jordan, è l’unico che abbia mai visto giocare capace di estrarre la magia dal cilindro e vincere la partita, come anche di mettersi sulle spalle l’intera squadra. In più il grande losangelino aveva accanto uno come Kareem Abdul Jabbar…
Dall’altra parte della barricata di queste Finals ci sono gli Warriors: una squadra senza esperienza ma che, partita dopo partita, ha fatto vedere di essere assemblata per vincere. In più, danno l’impressione di divertirsi come pazzi nel farlo. In stagione regolare e nei playoff hanno superato gli avversari con una facilità a tratti imbarazzante, raggiungendo un record vittorie/sconfitte (67/15) che ricorda, a livello numerico, i vecchi Bulls del 96/97. Non un gruppo a caso, quindi. La squadra è bella ed equilibrata. Draymond Green: è un difensore davvero, davvero coi fiocchi, il “vecchietto” Iguodala, poliedrico, rimbalzista, è uno che quando la palla scotta non ha paura di tenerla tra le mani e scagliarla al momento giusto. Klay Thompson piano piano è cresciuto e diventato un giocatore decisivo, una stella: grande tiratore, grande difensore, una certezza. Uno che, per farvi capire, è riuscito non a fermare, ma almeno a contenere, il Barba James Harden. E non è cosa da poco. Senza contare l’esplosione di Harrison Barnes, uno che pare abbia i polpacci imbottiti di dinamite. E poi c’è l’Mvp della stagione, Stephen Curry. Un ragazzo con un fisico “normale” per l’Nba, ma che sta cambiando il concetto di tiratore: andate a vedervi un video su Youtube, e osservate il delicato rilascio della palla quando, dopo uno step back, magari in un decimo di secondo, dopo aver ubriacato l’ennesimo difensore, dà un lieve colpo di frusta, morbido come seta. Il rumore che sentite dopo è il pieno, soddisfacente schiocco della retina – solo retina – e l’urlo del pubblico. Uno che è stato a lungo giudicato inadatto a dire la sua in un campionato ultra competitivo come l’NBA, ma che ha zittito tutti a suon di punti, passaggi, idee illuminanti.
La forza dei Cavaliers si chiama LeBron. Non perché la squadra non sia all’altezza, anzi. Ma Kyrie Irving, forse il miglior play puro della Lega dopo Chris Paul, non è al meglio; mentyre il beach boy Kevin Love ha chiuso anzitempo la stagione per infortunio. Erano in tre, erano i big three, si sono ritrovati a essere i big 1 e ½. Nonostante questo, sono in finale. Per la vittoria finale non sottovaluterei la voglia di riscatto di James, sconfitto nelle ultime Finals – quando ancora giocava a Miami – contro gli Spurs di Marco Belinelli. Dall’altra parte c’è una squadra che difende benissimo, che non molla e che difficilmente sbaglia una partita, con una stella in stato di assoluta grazia. La chiave sta tutta qui: se LeBron fa il LeBron, e decide di vincere, credo che sarà Cleveland a spuntarla, con molta, molta fatica. Ma se Golden State gira a mille come ha fatto finora e non si inceppa, le cose per quelli dell’est si mettono male. Senza dimenticare che sulla panchina dei californiani siede un certo Steve Kerr, uno che di vittorie che se intende.
Nicola Cavagnaro
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