Il “Colonnello” l’avrebbe presa male, molto male. Un Mondiale alle porte in Russia nel 2018 con i vertici del calcio planetario inquisiti o in carcere. L’integrità della sua Ucraina messa in discussione a colpi di cannone da Mosca. Squadre russe e ucraine che da tempo non riescono a dire più nulla nel tempio europeo del pallone, restandone fuori. Il “Colonnello” per i suoi modi bruschi e duri, Valerij Lobanovskij da Kiev per l’anagrafe, avrebbe forse alzato un altro muro alle domande e respinto con perdite quanti avrebbero voluto sapere da lui un “che fare” di antico sapore leninista, avere una scintilla per ribaltare un mondo che non va.
Loba il “Colonnello”, scomparso nel 2002 all’età di sessantatré anni, sarebbe stato avanti, come lo è sempre stato nella sua carriera di calciatore, allenatore e mediatore ai tempi dell’Unione Sovietica della perestrojka e della glasnost’. Marzo 1985, esattamente trant’anni fa, Michail Gorbacëv sale al potere di un immenso Paese sull’orlo di una crisi. Le sue nuove parole d’ordine – ricostruzione e trasparenza – sono l’inizio di una rivoluzione che culminerà nell’estate del 1991 con il disfacimento dell’URSS e con le sue dimissioni. Un’epoca di grandi trasformazioni, in un’altalena di spinte e controspinte specchio della lotta di potere al Cremlino come nella periferia dell’impero. Un impero che però finalmente è di nuovo in movimento, dopo anni bui.
Il “Colonnello” applica la perestrojka al calcio. Nel 1986, chiamato per la terza volta sulla panchina della squadra del Paese, porta quasi in blocco la sua Dinamo Kiev in nazionale sovietica – la squadra che aveva annientato l’Atlético Madrid nella finale di Coppa della Coppe – e rifila un clamoroso 6 – 0 all’Ungheria. Il mondo del pallone lo guarda con ancora più attenzione e ne studia le mosse con la stessa morbosità con cui i cremlinologi studiano ogni piccolo movimento di Gorbacëv e del partito al potere. Sussulti, frenate, accelerazioni. Il “Colonnello”, una sfinge nelle conferenze stampa, in realtà è a suo modo un anticipatore della glasnost’. Perché dei suoi metodi si sa tutto, perché ne parla sempre, quasi monocorde: la tattica è più importante dei giocatori, tutto è un numero, basta con le divisioni di ruolo, la matematica è la chiave di volta delle sue squadre, con i giocatori messi in campo lì dove ognuno sa (o dovrebbe sapere) che riceverà la palla ancora prima di essersi piazzato. Metodi duri, atleticamente parlando: la preparazione severa fa parte della storia del soprannome di “Colonnello”.
Sulla Piazza Rossa di Mosca e dintorni aprono i primi fast-food americani (Pizza Hut ha sempre due file, una scorrevole per gli stranieri che pagano in valuta, una lunghissima per chi paga in rubli), i celebri magazzini Gum diventeranno i tempi del nuovo lusso occidentale, nelle concessionarie di automobili presto non si vedranno più solo Lada. Nel 1988 l’Olanda di Marco van Basten ridimensiona aspettative e gioco collettivo dell’URSS di Loba, ma la perestrojka va avanti. Il “Colonnello” coglie la grande apertura politica di Gorbacëv per portare il calcio dal professionismo, al “professionalismo” come lui lo chiama: perché non trattare da professionisti i calciatori, alla stregua di quanto lo Stato fa già con artisti, attori e operai? Lobanovskij trova un alleato insperato nel numero due del Cremlino, Egor Ligacëv, che in una riunione del Comitato Centrale del PCUS presenta un documento sulla creazione di un sindacato dei calciatori in Unione Sovietica. È il primo passo verso il professionismo, e viene dal principale oppositore del riformista Gorbacëv. Ma che, nella dinamica complessa di quegli anni rivoluzionari, fa comodo allo stesso Gorbacëv avere in quel momento dalla sua parte.
Il calcio è politica, lo sport è diplomazia internazionale, alcuni giocatori di Loba – i cosiddetti “legionari” – diventano un affare. Aleksandr Zavarov è il primo giocatore sovietico a giocare nel campionato italiano con la Juventus. Lontani dall’URSS e nella democratica Italia, la glasnost’ sulla trattativa si perde per strada: Zavarov arriva alla corte di Gianni Agnelli grazie soprattutto alle buone relazioni politiche dell’”Avvocato” con i sovietici, nate con la fabbrica FIAT a Togliattigrad degli anni sessanta. Parlano in tanti di questa strana operazione, non parla Loba. Ma la perestrojka ha fatto un altro goal. In attesa dell’ultimo, il 12 ottobre del 1991, quando la Nazionale finisce di esistere. E l’Unione Sovietica si risveglia come Russia, Ucraina, paesi baltici e il resto. Una partita di puzzle che stiamo ancora giocando.
Prefazione di Francesco Paternò a Futbolstrojka, libro di Mario Alessandro Curletto e Romano Lupi (Edizioni fila37, 2015).
Illustrazione a cura di Tania Costa
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