“Il Messico ha già problemi di ordine sociale perché, destinando parte della sua produzione di mais alla fabbricazione di etanolo statunitense, ha fatto salire alle stelle il prezzo della popolarissima tortilla”
Quaderni speciali di Limes (2007)
La disciplina ha un nonsoché di rigoroso: le macchine da corsa vanno al 98% a etanolo. Una legge degli Stati Uniti impone, infatti, l’aggiunta di un 2% di benzina al carburante per impedirne il consumo umano.
Non è una gara per alcolisti la Iowa Corn Indy 300, la tappa di Newton, in Iowa appunto, della IndyCar Series (meglio nota come Formula Indy), il maggiore campionato automobilistico americano per le monoposto.
Non per alcolisti e neanche per tutti, la “Indy”, dato che per parteciparvi i team devono acquistare i telai, i motori e i pneumatici indicati, per tutti gli stessi.
Interessante è il capitolo carburante.
Fin dal primo campionato del 1996 il combustibile utilizzato era il metanolo, a lungo considerato una più sicura alternativa alla benzina. Così fino alla metà degli anni Duemila, quando i produttori di etanolo si sono fatto avanti con sponsorizzazioni volte a promuovere l’utilizzo del loro prodotto come carburante, elogiandone le prestazioni e minimizzando le preoccupazioni di team, piloti e tifosi riguardo alle possibili minori prestazioni. Il cambio non tardò ad arrivare e già nel 2006 la miscela utilizzata prevedeva il 90% di etanolo e il 10% di metanolo, passando poi in breve tempo alla proporzione attuale di 98% e 2%. Porte aperte dunque all’etanolo, che gli USA producono a partire dal mais.
La Iowa Corn Indy 300, nata proprio nel 2007, è l’emblema di questo passaggio.
La corsa all’etanolo è stata lanciata negli USA da George W. Bush, annunciando grossi finanziamenti per la produzione di biocarburante in modo da diminuire la richiesta americana di petrolio. Da una parte la campagna irachena non stava dando i risultati sperati, dall’altra c’era la volontà di essere meno dipendenti dal greggio mediorientale o venezuelano. Gli States si impegnano quindi ad aumentare di sette volte la quantità di etanolo disponibili nelle pompe entro il 2022. Un bel piacere alla potente lobby degli agricoltori del Midwest: in tutta la cosiddetta corn belt le fabbriche di etanolo spuntano come funghi e l’Iowa in particolare diventa il maggiore produttore di biocarburante del Paese.
Nel piccolo paesino di Newton la corsa automobilistica non è un semplice evento sportivo. Famiglie, agricoltori, sponsor sono tutti partecipanti di quella che è a tutti gli effetti una gigantesca fiera dell’etanolo. Stand mostrano le prodezze del biocarburante, viene distribuito mais tostato agli avventori e c’è anche un uomo pannocchia – Mister Corn - per i più piccoli. Ogni volta che le macchine sfrecciano nel brevissimo circuito ovale il telecronista “esalta la potenza di fuoco del nuovo carburante. «E’ stupendo. Efficiente. E americano»” – riporta Stefano Liberti nel suo reportage Land Grabbing. Americano, cosa da non sottovalutare.
La sostituzione del petrolio con l’etanolo va nella direzione dell’indipendenza energetica, tasto molto sensibile negli USA soprattutto se l’approvvigionamento li mette a contatto con paesi considerati ostili; inoltre il prezzo del mais è aumentato e i produttori sono molto contenti.
Ovviamente c’è il rovescio della medaglia. Oltre alla discussione sulla legittimità o meno di definire l’etanolo un “carburante verde” (molti sono gli studi che ne evidenziano pregi e difetti), la politica di supporto ai biocarburanti portata avanti da Stati Uniti e Unione Europea sta facendo aumentare le superfici delle colture destinate a produrre carburante piuttosto che cibo, oltre ad alimentare la speculazione sui mercati finanziari, facendo lievitare i prezzi degli alimenti e “affamando” chi non se li può permettere.
Negli ultimi anni il mais ha visto schizzare le sue quotazioni al Chicago Board of Trade, la principale piazza di scambio dei cereali, grazie ai future, la “scommessa” sul valore del prodotto al momento della consegna. In altre parole, gli speculatori comprano i future ben sapendo che ci sarà bisogno di mais proprio per le politiche di sostegno all’etanolo.
Il prezzo sale, ma non solo del mais. Perché nel frattempo, ad esempio, anche il grano salirà di valore, per il semplice fatto che le terre che erano coltivate a grano saranno destinate al mais per il biocarburante. Ci sarà quindi meno grano che varrà di più.
Il mercato è globale, le decisioni di un grande paese possono avere ripercussioni anche su zone lontane del pianeta. Se consideriamo che politiche simili sui biocombustibili (piantagioni estensive a monocoltura) le troviamo in molte parti del pianeta, da gran parte del Sudamerica con la coltivazione della canna da zucchero alla Tanzania con la jatropha (seme da cui si estrae un olio che può alimentare motori), negando terreno agli ortaggi, possiamo facilmente immaginarci le conseguenze.
La competizione – sostiene Lester Brown (intervistato da Liberti), presidente del think tank ambientalista Earth Policy Institute – è tra 800 milioni di persone dotate di automobile e 800 milioni di persone a rischio malnutrizione.
“Personalmente credo che l’investimento del futuro non saranno le materie prime, ma le terre. Il gioco sulle materie prime sarà oggetto di piccole speculazioni che potranno permette di guadagnare sulle variazioni congiunturali dei future. L’investimento vero, con un rendimento sicuro e probabilmente assai più consistente, saranno le terre, soprattutto in paesi in cui lo sfruttamento e la produzione costano pochissimo.”
Trader intervistato da Stefano Liberti
Fonti
Stefano Liberti, Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, Minimum fax, Roma 2011.
Alberto Garrido, Con l’asse dell’etanolo Bush e Lula accerchiano Chavez, in Brasile la stella del sud. Quaderni speciali di Limes, supplemento al n. 3/2007.
http://www.minimumfax.com/libri/magazine/335
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Ryan Etter Illustration
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