Un’inchiesta che è nata da una domanda: che fine hanno fatto nel campionato di calcio israeliano le squadre di origine araba? In tre puntate cercheremo di capire come, dal Mandato britannico allo stato di Israele, anche nel calcio l’identità palestinese si sia andata gradualmente affievolendo.
Laddove il calcio è politica. A pochi mesi dall’era dell’attuale presidente Eli Tabib, il Beitar Jerusalem aveva ufficializzato l’acquisto di Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev: 19 e 23 anni, entrambi ceceni e di religione musulmana, ultimi acquisti della precedente gestione del magnate russo Arcadi Gaydamak, rimasto in carica fino al giugno 2013. Una notizia che non era andata giù ai supporter locali, soprattutto a quelli considerati più facinorosi, il gruppo ultras La Familia, che alla prima partita utile hanno dispiegato nella tribuna orientale del Teddy Stadium un grande striscione giallo che citava l’inquietante scritta “Il Beitar sarà puro per sempre“. Il riferimento era alla religione professata dai due giovani calciatori…[continua a leggere]
Una sola federazione. Partiamo dalla regola generale: nelle società in cui si manifesta una spiccata partecipazione sportiva e in cui sono presenti rivendicazioni territoriali, è molto facile che tali conflitti vengano trasferiti nello sport. Celebre è la frase di Eric Hobasbawm: “una comunità immaginaria di milioni di persone sembra più reale nelle sembianze di una squadra di undici giocatori”. Tradotto: il successo di una minoranza in alcune discipline catapulta all’interno dell’arena sportiva il sentimento identitario. Nel calcio, numerosi sono gli esempi: il Celtic di Glasgow, l’Atletico Bilbao, il Barcellona.
Ma siamo sicuri che sia sempre così? [continua a leggere]
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Prendi una palla e ti dirò chi sei. Se un’istituzione fornisce magliette e un campo su cui giocare, è facile che i ragazzi arrivino. Non è come un partito politico, non è un problema essere in ha-Po’el Taibe o Maccabi Tamra: non ferisce l’orgoglio e il sentimento nazionale. Nel 1948, nel neo nato stato d’Israele, le attività sportive arabo-palestinesi restavano non ufficiali e la partecipazione degli atleti palestinesi alle normali strutture israeliane era scarsa. Ben presto, però, organizzazioni sportive iniziarono a comparire in quelle aree dove non erano presenti prima della guerra. Due fattori, sostanzialmente, influenzarono questa crescita: una variazione del modo di lavorare e il maggior interesse del governo e dell’Histadrut alle politiche dello sport (organizzazione sindacale sionista dell’area del partito di governo Mapai)…[continua a leggere]