Provate a immaginare la realizzazione di un sogno. Un filtro da mettere davanti all’obiettivo capace di dare nuova luce ad una delle più grandi aree urbane del mondo, Noida, a 40 Km da New Delhi, nello stato indiano dello Uttar Pradesh.
Il nome Jaypee Green Sports City ai più non dirà nulla, ma per gli appassionati di Formula 1 è l’area che racchiude il Buddh International Circuit, il circuito di quello che per tre edizioni, dal 2011 al 2013, è stato il Grand Prix dell’India.
Automobilismo, ma non solo, dato che i 1000 ettari di quest’area sono stati ideati e sviluppati per molteplici finalità sportive: così accanto al tratto della Yamusa Expressway, riadattato per le monoposto, il progetto ha previsto anche uno stadio di cricket che potrà arrivare fino a 100.000 posti, uno di hockey, campi da golf e accademie sportive. Ma se città deve essere, ovviamente grande spazio hanno l’edilizia residenziale e commerciale.
Come si è riusciti a trasformare in sogno una vasta area rurale parcellizzata in una miriade di piccoli e piccolissimi proprietari è presto detto: zone economiche speciali. Sono zone franche di seconda generazione, attualmente una delle principali fonti di ricchezza per le imprese in India e nel mondo che punta tutto sul possesso di un’area da dotare di una legislazione economica differente rispetto a quella del resto della nazione, in special modo per quanto riguarda esenzioni nella tassazione e deroghe dalle quote doganali e sulle normative sul lavoro. Lo scopo è sempre lo stesso: attrarre investimenti.
Apripista di questa nuova frontiera è stata la Cina già dalla fine degli anni Settanta, ma ormai la pratica è ampiamente usata in molte parti del pianeta. Ne esistono 2700 nel mondo, di cui 70 in Europa.
L’India aveva annunciato l’intenzione di aprire alcune aree ad un regime speciale già nel 2000, al fine di costruire un ambiente competitivo per le esportazioni, ma è dal 2005, con la Special Economic Zone Act, che ha dato un quadro di riferimento alla realizzazione di enclavi economiche iperliberiste. Grazie a questa legge le terre di milioni di piccoli proprietari vengono acquisite dai governi statali e consegnate a società private per motivi di “interesse pubblico”.
“La sacralità della proprietà privata non vale mai per i poveri” – aveva commentato la scrittrice Arundhati Roy nel suo libro I fantasmi del capitale (Guanda, 2015).
Agli agricoltori viene promesso che il sacrificio di una migrazione forzata dalle loro terre di origine e dell’esproprio di tutti i loro averi verrà ampiamente risarcito dalla creazione di posti di lavoro. Ma alla luce dei dati sull’occupazione indiana, che vede il 60% dei lavoratori gestire un’attività in proprio e il 90% operare nel settore informale, l’opportunità d’impiego rimane un mito. Nell’ottobre 2011 il Guardian aveva indagato sui lavoratori che erano stati utilizzati per la costruzione del circuito indiano di F1. Impiegati sette giorni su sette in turni di otto ore, dopo alcuni mesi dalla fine dei lavori, molti erano rifugiati in campi di fortuna a poche centinaia di metri dai cancelli della pista, in condizioni igienico-sanitarie precarie, in attesa della paga pattuita con gli appaltatori di cui erano ancora privati.
L’autodromo fin da subito ha avuto giudizi contrastanti: c’era chi, da una parte, vedeva nel Gran Prix dell’India un segno di crescente ricchezza e potere del Paese; c’era chi, dall’altra, ne sottolineava la capacità di mettere in risalto la crescente disuguaglianza della popolazione indiana.
Bibliografia
Arundhati Roy, I fantasmi del capitale, Guanda, Milano 2015.
Michael Levien. “The Land Question: Special Economic Zones and the Political Economy of Dispossession in India.” Journal of Peasant Studies 39, no. 3-4 (2012): 933-69.
https://www.theguardian.com/world/2011/oct/28/indian-grand-prix-f1-workers
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-07-03/una-deroga-la-zona-economica-speciale-081254.shtml?uuid=ADaTCUn&refresh_ce=1
Credits image: ranganath krishnamani
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