1982 – Parte II: Una lettera, due pipe, tre stelle e tre gol

Secondo Tempo

Questa è la seconda parte del viaggio che abbiamo fatto nel Mundial di Spagna 1982. Questo secondo racconto è dedicato ai miei, e ai nostri genitori: loro quella partita l’hanno vista e vissuta. Noi eravamo troppo piccoli: eravamo la loro Coppa del Mondo da sollevare al cielo, e loro erano, e lo saranno sempre, i nostri campioni.
Leggi la prima parte: 1982 – Sogno di una notte di mezza estate

La teoria del “Momento Federer” di David Foster Wallace è applicabile in qualsiasi sport:ci sono giocate, partite, episodi che sono la sintesi della perfezione, che fanno balzare in piedi lo spettatore in un’emozione quasi mistica. Quei momenti, danno al giocatore, alla squadra che li esegue un enorme vantaggio, non solo nel punteggio, ma soprattutto psicologico. Passato il momento si ha la sensazione di poter vincere. Si ha la percezione della vittoria. Si prende consapevolezza di sé stessi in positivo. Sono momenti che ti fanno entrare nel mood giusto, ti fanno sentire quasi imbattibile. Le partite con Argentina e Brasile sono state il “Momento Federer” dell’Italia. I giornali titolano: “Il Brasile siamo noi”, “Pablito risorge”. Il Times scrive “L’abilità italiana schianta l’arte brasiliana”. La semifinale contro la Polonia è poco più di un allenamento, una passeggiata. Segna ancora Paolo Rossi, due gol. L’Italia del Vecio ora va in automatico. La tv polacca manda la diretta della partita con tre minuti di ritardo per controllare le scritte presenti sulle tribune dello stadio ed eventualmente oscurarle: nella partita precedente, infatti, è apparso uno striscione che inneggiava a Solidarnosc. Per il regime comunista polacco non è un bello spot. La Polonia di Boniek è spazzata via e adesso ci aspetta la Germania in finale: 11 luglio 1982.

Tardelli e Breitner

La Germania è forte, favorita, ha giocatori statuari. Schumacher è un portiere gigante e non molto tenero: in semifinale ha rischiato di fare seriamente male al francese Battiston con un uscita pericolosa. Bernd e Karlheinz Forster si occuperanno di Pablito, sono biondissimi e cattivissimi. Il libero (eh si c’era ancora) è Uli Stielike, baffetto canaglia, gioca nel Real Madrid. La fascia sinistra è di competenza di un armadio a quattro ante con un passato da decatleta: Hans Peter Briegel. In mezzo Littbarski l’ala destra, Wolfgang Dremmler e infine, il leader del centrocampo: Paul Breitner, ha vinto il mondiale nel 1974, è comunista, legge il Libro Rosso di Mao, è un cingolato finissimo. Davanti Hrubesh e Karl-Heinz Rumenigge: il talento più sorprendente di quella generazione. Insomma la partita sarà ostica. Io avevo dieci mesi e non me la ricordo. La faccio raccontare, grazie ad una lettera che mi ha inviato, a mio papà, che ringrazio e ringrazierò sempre, e che quell’ 11 luglio 1982 se lo ricorda bene.

Il meraviglioso Borgo Vecchio di Varigotti

“Quella casetta di Varigotti era deliziosa e confortevole, fruibile e pratica proprio vicina al mare, peccato che pur essendo dotata di televisore non si vedevano i programmi nazionali, quindi quell’ 11 luglio 1982 occorreva trovare un posto per vedere la finale dei Mondiali di Calcio. Era stata una bella giornata, calda e soleggiata, dai Bagni Nettuno scappammo tutti verso casa molto prima rispetto al solito (la finale iniziava alle ore 20). Dopo un  velocissimo rito di doccia e cena, uscimmo per cercare un luogo pubblico che avesse un televisore e facesse vedere la partita. Francesco, mio figlio, aveva 10 mesi ed era un bel rompipalle, ma quella sera era particolarmente sereno, forse già pregustava l’avvenimento. Di corsa verso il Bar Vittoria ma alle 19,30 era già strapieno, il locale lungo e stretto, aveva la tv in fondo, era praticamente impossibile entrare. Francesco era nella sua carrozzella rossa, era troppo piccolo per il passeggino, e poi speravamo che magari si addormentasse. Dopo un breve consulto con altri compagni di spiaggia, decidemmo di correre verso la Caravella, era l’unico locale di una certa ampiezza che aveva un televisore. La Caravella era, ed è gestita, da un signore molto particolare, era solo ristorante e la zona bar non era mai praticamente frequentata: in 20 anni non mi ricordo di aver mai visto avventori al bancone. Nico, il proprietario, aveva una faccia quadrata con due occhi fissi e sorriso sardonico, forse meglio definirlo un ghigno, sempre con una mezza barba fatta e una robusta capigliatura scura; dopo 30 anni l’ho rivisto: identico, solamente leggermente più incanutito. Se non eri nelle sue grazie e conoscenze non c’era verso di stabilire un contatto oltre la formalità di rito. Quindi quella sera la corsa verso la Caravella era animata da un senso di speranza: chissà se Nico avrà aperto? Si, era aperto e miracolosamente con la tv accesa. La sala bar era sul lato strada e la sala ristorante era una bella veranda che dava sul mare. Tv ad altezza soffitto, sedie pochissime già tutte occupate, partita già iniziata e quindi tutti seduti sul pavimento del bar, non facevamo troppo casino per non disturbare i clienti del ristorante. Dopo 10 minuti dolore alla schiena e al collo per la posizione innaturale, sembravamo  seduti per terra  a guardar le stelle, con una visuale della tv veramente scarsa. Francesco e Bruna, mia moglie, dopo una breve sosta sull’ esterno,(non c’era posto per entrare con la carrozzella), cominciarono a ciondolare sulla passeggiata fino all’ intervallo della partita. Ci rivedemmo e commentammo. Francesco non dormiva. Il secondo tempo fu l’apoteosi, qualche urlo di gioia contenuto per non disturbare, Francesco e Bruna venivano continuamente a vedere e  sentire la situazione. La loro era la passeggiata dell’ansia: mio figlio non dormiva, mia moglie fumava. Finale della partita, gioia sommessa dentro il bar, nessuna consumazione, e tanta sete. Fuori dal locale urla e schiamazzi e grida e allegria. Mi ricordo che verso Capo Mele si intravedevano ancora i riflessi del sole che tramontava. Che partita: che paura dopo che Cabrini sbagliò il rigore. Poi i gol: Rossi, Tardelli, Altobelli e avevamo battuto i tedeschi. E quando mai potevi vincere qualcos’altro con loro? Dopo esserci rinfrescati ad una fontanella  meritavamo comunque una bevuta degna e allora tutti verso il molo come in una processione. Francesco si era addormentato, nonostante tutto, nella sua meravigliosa carrozzella rossa. Bevemmo tutti tanta birra e festeggiammo fino a tardi al chiosco e dopo, come al solito, andammo a guardar veramente le stelle dal molo: che era poi l’unica cosa da fare; in tutti questi anni le costellazioni sembravano cambiare ogni volta posizione nel cielo, dipendeva da chi le guardava ma loro erano sempre nella medesima posizione temporale; per dire che anche nella più rigorosa evidenza ognuno vede le cose come vuole. Chissà come nei successivi 20 anni le avrà viste mio figlio Francesco? Spero semplicemente per come erano veramente e  che tutte le varianti e le differenti posizioni fossero frutto solamente di un meraviglioso sogno, di una  fantasia, di una immaginazione poetica. Come vincere un Mondiale. Non mi ricordo altro di particolare, è passato veramente tanto tempo ed io sto invecchiando, e poi i ricordi, per pigrizia e per pudore, non ho voglia di scriverli o raccontarli. Però quest’ ultimo è un ricordo ancora chiaro: Francesco, in quella sera calda di mezza estate era particolarmente fiero di indossare una t-shirt arancione sbiadito, con sulla schiena un numero otto azzurro cubitato. Nonostante  i violenti lavaggi in lavatrice l’azzurro dell’otto era rimasto ancora nitido e luminoso. Un abbraccio, papà”

 

Quattro Immagini dal Postpartita

Di quel mondiale verranno ricordati i gol di Paolo Rossi; gli slalom di Bruno Conti, il brasiliano di Nettuno e i baffi dello zio Bergomi. Quattro immagini però rimarranno per sempre nella memoria di tutta la nazione. La corsa di gioia di Tardelli dopo il gol in finale, una corsa sincera, energica, liberatoria. Una corsa di un intero paese, verso la vittoria, verso la felicità. Tardelli stesso in una intervista postuma, rilasciata a Repubblica disse: “Nel momento in cui Rossi segnò la terza rete contro il Brasile, mi sono sentito campione del mondo. Solo una grandissima squadra poteva reagire così alla mazzata del loro doppio pareggio. Da lì in poi ci siamo compattati ed uniti, fino alla vittoria”, confermando quanto scritto all’inizio di questo articolo: Tardelli aveva compreso che le vittorie con Argentina e Brasile erano state il loro “Momento Federer”

Il secondo frame è l’esultanza composta ed elegante del presidente Sandro Pertini dopo il gol di “Spillo” Altobelli. Si alza in piedi in tribuna, sorride e con il dito fa segno di no, dicendo: “Non ci prendono più”. Si vede bene nel video. Altri tempi, altri uomini: uomini veri, sinceri, spontanei ed eleganti. Una classe dirigente onesta che oramai non ci appartiene più.

La terza immagine è la fine: il reale momento della fine. Quando l’arbitro Coelho, fa una cosa un po’ strana se pensiamo ad oggi: intercetta con le mani un passaggio di Bergomi, piegandosi in avanti, prende la palla, il magnifico Tango Espana e lo alza con ambo le mani verso il cielo stellato di Spagna fischiando la fine della partita come a dire “bravi ragazzi ma il pallone è mio e adesso me ne vado a casa”. Mi è sempre piaciuta questa scena. In contemporanea, Nando Martellini, voce storica di un calcio dimenticato, scandiva il celebre e triplice “Campioni del Mondo” con una semplicità, una genuinità e una classe che solo Bruno Pizzul riuscirà in parte ad emulare. I telecronisti odierni: meglio lasciar stare.

La quarta immagine è la fotografia perfetta di un’epopea che ancora oggi ci regala inaspettati batticuore; ma non solo, porta con sé la potenza dei flash che resteranno per sempre nel nostro immaginario collettivo, fissando in un colpo solo il senso di tutta la storia. Siamo sull’aereo presidenziale, è il 12 luglio 1982, il giorno dopo. La foto ha una luce senza tempo: è calda e definitiva, è una luce di una stella mattutina. Ci sono Zoff, Causio, Pertini e Bearzot che giocano a carte. Scopone scientifico. La Coppa del Mondo in primo piano insieme ad un accendino bianco. “Siamo due fumatori di pipa e gli ho detto che bruci nel fornello della pipa, come faccio io, tutte le sue amarezze e delusioni. E così vincerà sempre”  è Pertini a parlare a Bearzot. La coppia Bearzot-Causio sconfisse il duo Pertini-Zoff. L’urlo di Tardelli non si è ancora spento, ma tutto, lì in alto nel cielo, sembra insonorizzato, protetto da un’aura magica, cristallizzato per sempre. E’ un attimo sospeso tra la storia e il futuro. Qualcuno dimenticherà, tanti rimpiangeranno. Eppure la luminosa partita a scopone resta il quadro migliore di quegli anni, di quelle persone, di quell’Italia.

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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