Ci sono storie che vale la pena di raccontare perché sono belle. Altre perché sono tristi. Altre perché non saranno più. Mai più. Queste ultime sono le più romantiche. A tratti mitiche. Hanno una forza dirompente, che rimane sempre e per sempre nella memoria collettiva. Uniscono il dramma, la tragedia e la commedia. Sto pensando a due casi nello specifico di una storia bella e una storia brutta: il mondiale di Italia ’90 e le guerre jugoslave che, a partire dal 1991, portarono alla divisione del paese balcanico.
Da una parte la mia mente ricorda notti magiche inseguendo un gol, spesso realizzato da Totò Schillaci, che al Mondiale italiano ebbe i suoi giorni di gloria; Maradona da avversario a Napoli; Zenga per farfalle in semifinale; Azeglio Vicini ed una squadra molto forte con i gemelli del gol, Vialli e Mancini, che però fecero un mondiale assai opaco (tenevano le energie per l’anno successivo); la vittoria tedesca grazie ad un rigore contestato. Questa è una storia bella, la storia del mondiale: vissuto anche a Genova, con il Costa Rica in ritiro prima a Voltaggio e poi a Finale Ligure con il suo portiere Conejo che pregava in allenamento e prima delle partite.
Costa Rica che si qualificò agli ottavi battendo Scozia e Svezia, attirando su di sé tutte le simpatie del Luigi Ferraris (e io ero allo stadio, 9 anni ed ero già malato di calcio); Medford l’eroe (successivamente anche 12 presenze e un gol con il Foggia). Dall’altra parte si apre il cassetto della memoria triste, della memoria sofferente, una memoria di guerra: nell’anno successivo ai mondiali, una terra, letteralmente “macedonia” di gruppi etnici e religioni, si stava sfaldando a causa di una guerra civile brutale. Una guerra che segnerà per sempre la fine di un paese, la Jugoslavia, che non sarà mai più la stessa, non solo geograficamente, ma anche nello spirito e nell’anima.
Il Mondiale di Italia ’90 e la Jugoslavia: cosa ne viene fuori? Ne viene fuori un racconto, una storia, che come detto all’inizio, non sarà mai più. Una storia che racconterò volutamente solo da un punto di vista sportivo, non politico o storico, di una delle nazionali di fine anni 80 più forti di sempre, (secondo il mio modesto parere). Una squadra, che parteciperà ad un Mondiale di Calcio per l’ultima volta, e che era un melting pot di nazionalità, etnie e religioni specchio di una nazione variegata. Troppo, e troppo spesso non bilanciata. Era capace di giocare il futbol bailado migliore d’Europa o di finire perdendo partite con risultati tennistici. Alti e bassi, grandi prestazioni e crolli incredibili, come sulle montagne russe, pardon, in questo caso, slave. La squadra che si presenta in Italia per il mondiale è così composta: otto croati, due macedoni, cinque serbo-montenegrini, sei bosniaci e uno sloveno. Allenatore Ivica Osim, bosniaco con un passato da calciatore in numerosi club francesi e un futuro che lo vedrà in Giappone. Iniziano male il mondiale perdendo 4 a 1 dalla Germania: come detto una squadra dalle due facce. Poi si riprendono e battono, prima la forte Colombia di Higuita e Valderrama e poi gli Emirati Arabi Uniti grazie ad un sonoro 4 a 1. I Plavi volano agli ottavi di finale e sarà Jugoslavia-Spagna. Una partita tosta ma gli jugoslavi danzano e scherzano con il pallone, se ne innamorano al 78esimo quando Stojkovic porta il vantaggio la nazionale balcanica, e lo odiano mortalmente all’ 83esimo quando Julio Salinas (maledetto da noi sampdoriani per la finale di Coppa delle Coppe a Berna) riporta in parità la partita. Ma le montagne slave continuano con i loro alti e bassi: minuto 92 nei tempi supplementari, scappa Savicevic viene falciato dalla difesa spagnola: fallo e punizione dal limite di Stojkovic. Gol e passaggio del turno. In quella partita, a detta di molti giornalisti, Stojkovic segnò due dei gol più belli del mondiale.
Ai quarti di finale la partita con l’Argentina terminò 0 a 0. Ai calci di rigore vinse la nazionale sudamericana e Hadzibegic toccò l’ultimo pallone nella storia della Jugoslavia ad un Campionato del mondo. La rincorsa sull’ultimo calcio di rigore fu decisa, così come il tiro, ma Goycoechea fu bravo a tuffarsi alla sua sinistra e ad intuire la direzione: il calcio è beffardo, fuori una delle nazionali più belle e spettacolari da vedere giocare. Fuori per sempre dalla Coppa del Mondo. Hadzibegic sarà successivamente l’ultimo capitano jugoslavo in occasione dell’ amichevole con l’Olanda nel 1992, prima dello scioglimento definitivo della federazione calcistica slava. Quella nazionale era e non sarà più una squadra deliziosamente imprevedibile: talenti come Stojkovic, Pancev, Boksic, Prosinecki, Savicevic e Suker, solo per citarne alcuni, non suonavano la samba brasileira ma una musica balcanica, un mix di sorrisi e malinconia. Talenti così è raro vederli insieme in una squadra di calcio. Quella fu l’ultima Jugoslavia e mi piaceva ricordarla: ne ero particolarmente tifoso perché a quel mondiale prese parte da protagonista anche il sampdoriano, poi scudettato, Srecko Katanec, l’unico sloveno della squadra, un centrocampista tuttofare di quelli che oggi, come la Jugoslavia, non esistono più.
PS: se oggi la Jugoslavia esistesse ancora, avrebbe in rosa giocatori fortissimi e sarebbe assolutamente tra le nazionali più forti d’Europa, se non del Mondo. Salvo le montagne slave e i colpi di “testa” improvvisi sarebbe davvero: Jugo-Bonito. Per aver un’idea di una possibile formazione segnaliamo un vecchio articolo degli amici di Lacrime di Borghetti.
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Fabio M. Alfonsetti
Bellissimo ricordo nostalgico del bel calcio che fu.