You’ll Never Walk Alone Zena

When you walk through a storm
Hold your head up high
And don’t be afraid of the dark
At the end of the storm
Is a golden sky
And the sweet silver song of a lark
Walk on through the wind
Walk on through the rain
Though your dreams be tossed and blown
Walk on walk on with hope in your heart
And you’ll never walk alone
You’ll never walk alone
Walk on walk on with hope in your heart
And you’ll never walk alone
You’ll never walk alone

Il coro parte, si alza sempre più forte e non si arresta. Non si può tenere. Non si può arginare: è un unisono di voci dirompenti, sovrasta i cori avversari. Sovrasta tutto. Come l’acqua che ha di nuovo sommerso Genova, non si è fermata davanti a niente, impietosa. Ed è per questo che voglio dedicare questo coro, il suo significato, la sua storia e questo post alla mia città. Alla mia (e nostra amici del blog) amata Genova.

La storia del famoso “You’ll Never Walk Alone” è una storia antica, profondamente radicata nella cultura pop britannica come vedremo. Il brano è in realtà un autentico inno alla vita e alla speranza. Fu composto nel 1945 da Richard Rodgers e Oscar Hammerstein per il musical “Carousel”, adattamento di un testo teatrale di Ferenc Molnar, l’autore de “I Ragazzi della Via Pal”. Il brano viene suonato all’interno del musical in due scene colme di pathos: quando la protagonista rimane vedova e quando, nell’ultima scena, il marito torna sulla terra per assistere agli esami della figlia adolescente, sussurrandole nell’orecchio di non perdere mai la fiducia in sé stessa. Per questo, “You’ll Never Walk Alone”, “Non camminerai mai sola”, nasce come una canzone di speranza: è una sorta di inno alla vita, di invito a rialzarsi dopo ogni caduta, nonostante le brutture, le bassezze e le angherie che il mondo ha in serbo per ognuno di noi.

Foto di Alessio Lanzone

La canzone inizia a circolare nel mondo del calcio nei primi anni ’60. E dove, se non a Liverpool, centro della cultura popolare britannica? La nascita e lo sviluppo del Merseybeat fecero della città il simbolo della cultura metropolitana alla moda: Liverpool in quegli anni era la combinazione di diversi strati di relazioni sociali, era un punto d’incontro, e i Beatles erano l’espressione massima di tutto ciò. La cosa ebbe ripercussioni anche negli stadi: il pubblico della Kop intonava cori sui ritmi di “She loves you” e “Yellow Submarine” e la stampa locale, il Liverpool Echo, nel 1965, ad esempio, in occasione della vittoria di FA Cup dei Reds contro il Leeds titolò “L’anno di Liverpool yeah, yeah, yeah”, chiaro riferimento a “She loves you”, e “Salutiamo i BeatLeeds”. La realtà era però leggermente diversa: i Beatles e il calcio non si sono mai davvero amalgamati. Paul McCartney viene da una famiglia di tifosi dell’Everton, ma ha sempre dimostrato scarso interesse per il football, così come gli altri componenti della band. Iniziano allora ad “entrare” in gradinata altre hit di gruppi del momento: canzoni dei Searchers, dei Merseybeats ad esempio; e dal 1963 anche un pezzo di Gerry and the Pacemakersil rifacimento in chiave beat di “You’ll Never Walk Alone”, proprio quella del musical sopracitato. Gerry Marsden, frontman della band e tifosissimo del Liverpool, musicò il pezzo che divenne, già nel 1964, il marchio di fabbrica della Kop, o meglio Spion Kop, la gradinata dei Reds il cui nome deriva da una collina nella regione sudafricana del Natal, luogo dell’omonima battaglia nella seconda guerra anglo-boera, dove morirono numerosi soldati britannici provenienti da Liverpool. L’unica gradinata al mondo in grado di risucchiare il pallone in rete!

La storia è semplicemente questa, ed è una storia fatta di cadute improvvise e di altrettanto rapide risalite. Di un canto di un’allodola alla fine della tempesta. Di una speranza di vita nuova. Il dj John Peel, una delle voci più celebri della BBC, il giorno del suo matrimonio è entrato in chiesa vestito con i colori sociali del Liverpool e con in sottofondo “You’ll Never Walk Alone”. Prendetevi qualche minuto, ascoltatela, vivetela. Chiudo citando “Red or Dead” di David Peace, in un passo che mi ha molto colpito: “la partita non era mai finita, l’incontro non era mai finito. Il dolore nel cuore, il fumo negli occhi. La città era in fiamme, le sirene nell’aria…Bill (Shankly) toccò l’albero. Quell’albero che si ergeva alto, quell’albero che si ergeva trionfante. Trionfante e risorto. Ora e per sempre. Bill conosceva quell’albero, Bill amava quell’albero. Il suo nome era Libertà, il suo nome era Liverpool“.

Dedicato a Genova, che con amore e libertà, non camminerà mai sola.

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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